Alberto Dolara, Specialista in Cardiologia, già Direttore Unità Cardiovascolare, S.Luca Ospedale di Careggi
La goliardia, movimento studentesco soprattutto universitario con intenti folcloristici e contestatori, ha avuto in Italia fasi alterne: prima assorbita dal regime fascista ha avuto un revival dopo il secondo conflitto mondiale. È riportata l’esperienza personale di uno studente inscritto alla facoltà di medicina di Firenze negli anni 50, e descritte le varie manifestazioni folcloristiche alle quale ha partecipato. Da una indagine familiare risulta che almeno in questa città il movimento goliardico sia praticamente scomparso negli anni successivi.
Ho incontrato la goliardia come iscritto al primo anno di medicina a Firenze nel 1950 e un breve amarcord può risultare gradito agli studenti di oggi, testimonianza di un tempo lontano.
La goliardia, movimento studentesco, soprattutto universitario, con radici secolari ed intenti folcloristici-contestatori simili nei vari Paesi del mondo, ha avuto nel nostro Paese fasi alterne. Dopo essere stata assorbita nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio) in epoca fascista vi è stato un revival negli anni successivi l’ultimo conflitto mondiale. In quel periodo solo una modesta percentuale di matricole universitarie proveniva dalla classe operaia o contadina. Per loro, come per il sottoscritto l’accesso all’università rappresentava l’ingresso nel mondo del sapere e anche una promozione sociale. Era allora inevitabile una certa curiosità ed entusiasmo per questo movimento..
Il primo dovere delle matricole consisteva nel mettersi in regola con il “papiro”, un cartoncino del formato variabile, in genere non superiore ad una doppia pagina di carta da lettere. Su di esso comparivano scritte varie in latino maccheronico e fraseggio irripetibile, con illustrazioni più o meno oscene (attenuate nel caso delle studentesse). Soprattutto doveva portare le firme degli “anziani”, i più temibili, iscritti al secondo- quarto anno, spesso fuori corso ,cioè in ritardo con il programma degli esami, preferivano la caccia delle matricole allo studio. Il “papiro” era rilasciato dopo un pedaggio con l’offerta di bevande o sigarette, ma allora i pocket money erano molto scarsi! Se la matricola veniva trovata non in regola il pedaggio diveniva maggiore. Una esperienza da dimenticare quella del “corridoio”: in un edificio del centro della città , dove allora si svolgevano le lezioni di anatomia , gli anziani si disponevano ai lati di un lungo corridoio e le matricole terminata la lezione, obbligate ad attraversarlo con urla, calci e schiaffi. Anche se non paragonabili agli episodi di nonnismo delle caserme che hanno talora conseguenze tragiche, si trattava di un’esperienza tutt’altro che piacevole. Poi c’era la “cordata”: in caso di lezioni fuori città le matricole dovevano rientrare nel centro cittadino procedendo in fila indiana legate uno all’altro con una corda; qualcuno messo in mutande ( ma a questo si poteva fare una decisa opposizione), tra lazzi e scherzi di ogni genere.
Tra le manifestazioni goliardiche cittadine con carattere volutamente contestatorio, anche se velleitario, ricordo la sfilata degli studenti universitari al seguito di un carro allegorico al centro della città durante il carnevale. Sul carro, all’insegna di Bacco, Tabacco e Venere, abbondavano le allusioni alle varie funzioni fisiologiche, in primo luogo ovviamente quelle sessuali. Gli studenti in corteo seguivano il carro con canti vari, tra cui quello più noto, gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus, un latino facilmente traducibile. Alla Pergola, teatro storico cittadino, fu allestito uno spettacolo del quale non ricordo il tema del resto irrilevante; la rappresentazione reale non era sul palcoscenico, ma nell’intero teatro dove lunghe strisce di carta igienica pendevano dai palchi e dai quali provenivano continue urla e rumori vari, il lettore può immaginare di che natura. A queste manifestazioni gli studenti di solito mettevano la “feluca” .; il nome di origine araba, e poi spagnola indicava sia un piccolo veliero mediterraneo sia un cappello a due punte, di origine settecentesca che faceva parte delle alte uniformi o delle divise di gala delle più importanti gerarchie civili, militari e accademiche. Ad una sola punta era stato adottato anche dalle organizzazioni goliardiche delle università italiane; durante il periodo fascista venne sostituito dal fez . Di colore diverso per le varia facoltà, rosso per medicina, nero per ingegneria, verde per chimica, e così via per le altre facoltà. La feluca delle matricole doveva essere rigorosamente senza ornamenti , mentre gli iscritti agli anni successivi potevano attaccare ninnoli di vario genere e un numero elevato considerato motivo di prestigio. Devo ammettere che, piuttosto allergico ai cappelli in genere, ho portato la mia feluca rossa alle manifestazioni goliardiche con un certo orgoglio.
Nei decenni successivi il fenomeno della goliardia andava comunque esaurendosi. Ho fatto una mini-inchiesta familiare per quanto riguarda la mia città. Mio fratello, matricola a medicina nel 1962, non si curava di possedere né il “papiro”, né la “feluca”, si era rifiutato di sfilare in mutande, e ignorava le manifestazioni pubbliche organizzate dai goliardi. Avrebbe poi partecipato al movimento studentesco del 1968 che ha definitivamente tolto alla goliardia universitaria ogni residua velleità contestatrice. Ancora mio figlio, mia figlia e due nipoti, matricole universitarie in altre facoltà fiorentine, in un arco di tempo dal 1975 al 2018, non ricordano di essere stati coinvolti ,né di avere assistito ad alcuna manifestazione goliardica. Attualmente isolate manifestazioni folcloristiche sono riportate su wikipedia. Alle matricole universitarie del nuovo millennio, lontane dal desiderio di partecipare a manifestazioni goliardiche, si presentano evidentemente problemi ben più gravi, come l’incertezza del futuro e del lavoro e per quelle in medicina come affrontare le difficili scelte professionali di una medicina in continua evoluzione.
PS. Quando rivedo la mia “feluca” rossa in soffitta, con ancora attaccati i monili, compreso quello avuto da un amore della gioventù perché durasse in eterno, provo un attimo di nostalgia, ma solo per quel monile……
elisa.dolara@tin.it