Giuliano Brunori, Presidente SIN Società Italiana Nefrologia
L’approccio terapeutico alla malattia renale cronica (MRC) sta cambiando radicalmente rispetto al passato grazie alla recente o prossima introduzione nella farmacopea nefrologica di farmaci innovativi, quali i chelanti del potassio indicati nella terapia cronica della MRC (patiromer e sodio zirconio ciclosilicato), le gliflozine (canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin) e gli antagonisti recettoriali dei mineralocorticoidi non steroidei (Finerenone), due classi di farmaci indicati nella MRC proteinurica, nonché gli stabilizzatori orali dell’hypoxia inducible factors-HIF (roxadustat e daprodustat), che consentono una correzione più fisiologica dell’anemia da MRC ed una minore richiesta di supplementazione marziale rispetto all’eritropoietina. La combinazione di questi farmaci con la terapia tradizionale consente di ridurre le principali complicanze della MRC (ipertensione, anemia, iperpotassiemia, eventi cardiovascolari) e ritardare anche di 10 anni la necessità di iniziare il trattamento dialitico.
La recente approvazione, basata su risultati senza precedenti dello studio DAPA CKD, della prescrivibilità di dapaglifozin nel paziente affetto da malattia renale cronica indipendentemente dalla presenza di diabete, mette a disposizione del nefrologo una nuova opportunità terapeutica che consente non solo di rallentare la progressione della malattia verso la fase dialitica ma anche di prolungare la sopravvivenza. Lo studio DAPA-CKD ha infatti di mostrato che dapagliflozin riduce, rispetto allo standard di cura attuale, il rischio di morte da tutte le cause del 31% e del 39% il rischio di peggioramento della funzione renale in pazienti affetti da malattia renale cronica albuminurica allo stadio 2-4, con e senza diabete, ritardando di diversi anni la necessità di terapia dialitica.
Questa innovazione terapeutica arriva a distanza di 20 anni dall’introduzione degli antagonisti del sistema renina-angiotensina, unici farmaci nefroprotettivi sinora disponibili, rappresentando pertanto una reale svolta epocale nel trattamento della malattia renale cronica. E’ una svolta epocale anche per noi nefrologi, in quanto potremo consolidare sempre di più il nostro ruolo nell’ambito della medicina preventiva con la possibilità di mettere in remissione la malattia renale cronica. Questa è la “mission” principale del Nefrologo in quanto la dialisi è gravata da aumento esponenziale del rischio di morte, riduzione della qualità di vita e, aspetto rilevante, i non indifferenti costi per il SSN. Basterà ricordare come per i circa 50.000 pazienti in trattamento dialitico (circa 45.000 con dialisi extracorporea e circa 5.000 con dialisi peritoneale) si ha un utilizzo del 3.2% del fondo sanitario nazionale, che meglio viene rappresentato dicendo che lo 0.08% della popolazione ha una patologia che drena il 3.2% del fondo sanitario. Pertanto qualsiasi intervento che riduce l’arrivo al trattamento sostitutivo della funzione renale ha, oltre all’impatto sulla qualità di vita del paziente, un grosso impatto sull’uso delle risorse economiche. E con i nuovi farmaci abbiamo una disponibilità di nuove molecole che possono permetterci di raggiungere una consistente diminuzione di pazienti con MRC che devono ricorrere alla dialisi.
La disponibilità dei nuovi chelanti del potassio inoltre permette l’utilizzo degli inibitori sistema RAAS anche in pazienti con valori di GFR ridotti, sfruttando quindi più a lungo la funzione antiproteinurica di queste molecole. La letteratura ci ha evidenziato come la proteinuria sia un fattore di progressione della malattia renale, pertanto poter utilizzare molecole che hanno l’effetto antiproteinurico il più a lungo possibile, riducendo gli effetti collaterali con l’uso di nuovi farmaci per il controllo dei valori di potassio, ci permette di rallentare anche in maniera significativa la progressione della malattia renale.
Passo preliminare ed essenziale alla implementazione di queste nuove terapie è l’identificazione da parte del Medico di Medicina Generale (MMG) dei pazienti ad alto rischio di MRC progressiva. Sottovalutare questo aspetto “critico” preclude di fatto la gestione ottimale di questi pazienti.
LA STRATEGIA “3C” PER OTTIMIZZARE IDENTIFICAZIONE E GESTIONE DELLA MRC PROGRESSIVA NEGLI AMBULATORI DI MEDICINA GENERALE
La MRC è oggi considerata una priorità per la salute pubblica: il 10-15% della popolazione mondiale vive oggi con questa malattia, ed il numero totale di pazienti nel mondo è di poco superiore a 850 millioni, 95% dei quali con malattia non in fase dialitica (in Italia 3-6 milioni) [1,2]. I risultati dello studio Global Burden Disease (GBD) hanno evidenziato che la CKD è un’importante causa di eventi cardiovascolari fatali e non-fatali [3]. Lo studio GBD ha evidenziato che tra il 1990 ed il 2017, la mortalità da MRC è aumentata del 41%. Per i “sopravvissuti”, la storia naturale porta alla dialisi, e gli ultimi dati del registro europeo di dialisi e trapianto mostrano come l’incidenza in dialisi nelle ultime due decadi non sia diminuita ma anzi sia ancora oggi in crescita [4].
Nonostante il peso della MRC sia di gran lunga superiore rispetto ad altre malattie cronico-degenerative in termini di prevalenza e prognosi, la consapevolezza è paradossalmente bassa nella popolazione generale e nei medici non-nefrologi. Si stima una consapevolezza di MRC che non supera il 20-30% dei pazienti affetti, con frequenze ancora più basse nelle fasi precoci di malattia (circa il 10% nella MRC stadio 1-2), ossia negli stadi di malattia dove l’intervento può indiscutibilmente migliorare la prognosi [5-8]. La scarsa consapevolezza di malattia è determinata in primis dalla paucità di sintomi sino alle fasi avazate. D’altra parte, la bassa innovatività terapeutica nello scorso millennio ha contribuito a generare una sorta di atteggiamento fatalistico sulla terapia conservativa della MRC abbassando il livello di attenzione dei clinici su questa patologia.
Il peso rilevante ma sottostimato della MRC ha indotto gli esperti delle Linee Guida internazionali in Nefrologia a includere nella struttura generale delle raccomandazioni sulla gestione della MRC un piano “proattivo” per l’identificazione ed il trattamento precoce negli ambulatori di Medicina Generale dei pazienti con MRC ad alto rischio di eventi cardiovascolari e di progressione alla dialisi [8]. Questa strategia innovativa, da considerarsi di pari importanza alla terapia vera e propria, può essere definita come approccio “3C” (Figura).
Questo semplice e innovativo approccio prevede uno screening che il MMG dovrebbe effettuare nei pazienti a più alto rischio di MRC utilizzando test a basso costo, quali il dosaggio della creatininemia per la stima del filtrato glomerulare (eGFR), e la presenza di albuminuria patologica tramite dosaggio del rapporto albuminuria/creatininuria (ACR) sulle urine. La diagnosi di MRC è definita dal persistere per un periodo pari o superiore a tre mesi di eGFR inferiore a 60 ml/min/1.73m2 o in presenza di albuminuria patologica (ACR >30 mg/g) anche se eGFR è maggiore di 60 ml/min/1.73m2. I pazienti con diagnosi di MRC potranno essere trattati negli ambulatori del MMG se a basso rischio o in caso di alto rischio essere inviati a consulenza nefrologica. In entrambi i casi la terapia da effettuare deve essere multifattoriale e mirata a raggiungere i goals terapeutici, come da raccomandazioni delle Linee Guida attuali [8-10]
Una collaborazione più stretta tra MMG e Nefrologi basata su questo approccio semplificato alla MRC consentirà di ottimizzarne la gestione favorendo la remissione della nefropatia (riduzione eGFR non superiore al calo fisiologico di 1 mL/min/anno) tramite l’implementazione dei nuovi farmaci nefroprotettivi.