Selene Laudicina, Dirigente Medico nefrologo, Ospedale Santa Maria Annunziata, Bagno a Ripoli.
Il termine “iperossaluria” indica un insieme di disordini metabolici caratterizzati da un’elevata escrezione di ossalati nelle urine. Questa elevata escrezione urinaria di ossalati può essere causata o da problemi intestinali, noti come forme enteriche o da disordini del metabolismo epatico, chiamati forme primitive ereditarie. Queste forme genetiche rappresentano malattie sistemiche gravi che si manifestano solitamente in età pediatrica, sono rare (con un caso ogni 120.000 nati vivi all’anno) e spesso vengono sottodiagnosticate, con conseguenze potenzialmente gravi.
Esistono tre tipi di iperossaluria definiti biochimicamente, tutti a trasmissione autosomica recessiva. La patogenesi di tutte e tre le forme è legata a un metabolismo alterato del glicossilato e a un eccesso di produzione endogena di ossalato. Questo porta alla deposizione di cristalli di ossalato di calcio nei tubuli renali, causando nefrocalcinosi, fibrosi interstiziale e malattia renale terminale.
Il fegato è l’organo chiave nel processo causativo, mentre il rene è il primo a subire le conseguenze e, nelle forme più gravi, viene coinvolto l’intero organismo. Questo accumulo sistemico di ossalati, noto come ossalosi, può manifestarsi in diversi modi con problemi muscolo-scheletrici come dolore, maggiore suscettibilità alle fratture, ritardo nella crescita, artrite e miopatia. Può interessare il cuore, causando aritmie, blocchi, calcificazioni intracardiache che possono essere fonte di emboli, i vasi sanguigni, portando all’ischemia miocardica dovuta al deposito di ossalato nell’arteria coronaria (conosciuta come “aterosclerotica ossalosi”). Inoltre, l’ossalosi può coinvolgere l’occhio, causando retinopatia e il sistema endocrino, con il rischio di ipotiroidismo.
La PH1 è caratterizzata da una carenza dell’enzima alanina-gliossilato aminotransferasi nei perossisomi epatici, mentre la PH2 è causata da una perdita di funzione dell’enzima citosolico degli epatociti, la gliossilato e idrossipiruvato reduttasi (GRHPR). La PH3 è associata a un deficit dell’enzima mitocondriale 4-idrossi-2-ossoglutarato aldolasi (HOGA).
La PH1 è la forma più diffusa e ha una prognosi peggiore. Recentemente, terapie basate su RNAi si sono dimostrate efficaci solo nei pazienti con PH1.
Inoltre, è emersa una forte associazione tra specifici genotipi PH1 e la risposta alla terapia con piridossina. È stato riscontrato che i pazienti con mutazioni sensibili alla piridossina mostrano un significativo ritardo nell’insorgenza dell’insufficienza renale.
In una recente pubblicazione di gennaio 2023, i membri di OxalEurope, una rete di scienziati e medici europei specializzati in PH insieme al gruppo di lavoro della Rete europea di riferimento per le malattie renali rare (ERKNet) hanno condotto un aggiornamento sulle linee guida pubblicate nel 2012 tenendo conto della introduzione di due nuove terapie basate sull’interferenza dell’RNA (RNAi).
Le raccomandazioni da loro fornite ci suggeriscono di sospettare la malattia e di conseguenza, indirizzare il paziente a un centro specializzato nella calcolosi, quando si verifica la nefrocalcinosi, esistono una storia familiare ed almeno 2 episodi di colica renale con esordio in giovane età.
La misurazione dell’ossaluria nelle urine della raccolta nelle 24h, o del rapporto ossaluria/creatinina nelle urine spot, la misurazione dei metaboliti urinari (glicolato, L-glicerato, 4-idrossi-2- ossoglutarato (HOG) e 2,4 -diidrossiglutarato (DHG), l’analisi spettrometrica del calcolo, la cristalluria del sedimento e la misurazione dei livelli di ossalato plasmatico nei pazienti affetti da insufficienza renale sono tutti strumenti utili per avviare una sospetta diagnosi. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che una diagnosi definitiva richiede sempre una conferma genetica.
Fino a oggi, l’approccio terapeutico si è limitato a misure di supporto, tra cui l’idratazione intensiva, l’uso di agenti alcalinizzanti delle urine, la restrizione nell’assunzione di cibi notoriamente ricchi di ossalato e l’utilizzo della piridossina. L’unica cura veramente risolutiva è stata il trapianto di fegato e nei pazienti affetti anche da insufficienza renale, il trapianto combinato di fegato e rene.
Esistono, però importanti sviluppi nel campo della gestione della PH1. Sono disponibili e in fase di sperimentazione due terapie basate sull’interferenza dell’RNA (RNAi) per i pazienti affetti da PH: il Lumasiran, farmaco progettato per silenziare il gene responsabile dell’enzima glicolato ossidasi, che catalizza la conversione del glicolato in gliossilato, riducendo così la produzione del precursore dell’ossalato, che ha ottenuto l’approvazione da parte dell’EMA e della FDA come farmaco orfano per il trattamento della PH1 ed il Nedosiran, progettato per inibire la produzione di L-lattato deidrogenasi A (LDHA) essenziale per la conversione citosolica del gliossilato in ossalato.
In Toscana, tutti i medici che si trovano ad avere pazienti con sospetto di malattie rare di questo tipo hanno la possibilità di accedere al nostro Centro di riferimento dedicato alla calcolosi renale, presso l’Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze. Il centro offre una vasta gamma di strumenti diagnostici e terapeutici, inclusa la capacità di condurre screening metabolici, effettuare la ricerca di mutazioni genetiche. Inoltre, si è in attesa di approvazione della richiesta di Centro prescrittore che consentirebbe l’accesso ai nuovi farmaci disponibili.
Per approfondire la comprensione della malattia, nella stessa area sono attualmente in corso studi di popolazione. Questi studi inizialmente si sono concentrati sulla dialisi con l’obiettivo di rivedere l’epidemiologia di questa malattia poco conosciuta e di ridurre l’etichettatura, fra i pazienti nefropatici, di malattia renale cronica ad eziologia sconosciuta