Le possibili risposte del mondo sanitario tramite le strutture intermedie e l’ospedale di comunità per la riconversione della assistenza da alta intensità di cura a bassa intensità ed il sistema dei valori bioetici e deontologici da condividere tra sanitari e cittadini
A cura del Prof. Massimo Martelloni, Consigliere Ordine dei Medici e Odontoiatri di Firenze, consulente O.T.G.C. della RT su aspetti medico-legali e criteri di accreditamento, già Direttore UOC Medicina Legale Lucca USLNO, Presidente Emerito COMLAS Società Scientifica dei Medici Legali del SSN
ABSTRACT
Le grandi riforme necessitano sempre di una visione d’insieme, specie quando si affrontano temi come la tutela della salute e delle garanzie sociali che la devono sostenere. Comprendere la complessità diventa pertanto indispensabile perché se l’essere umano ovvero il cittadino/paziente deve essere considerato nel suo insieme nella complessità delle risposte ai bisogni che lo riguardano, il legislatore non può venire meno ad una visione che ispiri la sua azione alla tutela di un bene comune universale come la salute nei suoi risvolti non solo sanitari, ma anche sociali, sostenendo con le risorse necessarie lo sviluppo delle strutture e il lavoro degli operatori sanitari e sociali per dare al cittadino/paziente risposte eticamente e scientificamente adeguate, guidati tutti dai valori etici condivisi, compiutamente espressi in ambito di biodiritto. Nella direzione della Riforma del DM 77/22 costruire quindi gli Ospedali di Comunità è una scelta obbligata, che presenta difficoltà superabili attuando un Piano di riconversione dei ricoveri da alta intensità di cura a bassa intensità utilizzando come sedi comuni, per gli ospedali di comunità, anche le strutture ospedaliere attuali, sapendo che in questo modo vi sono risorse economiche ed umane recuperabili, ma impegnando scientificamente il Sistema a produrre PDTA condivisi anche per i contenuti di biodiritto.
INDICE DEGLI ASPETTI TRATTATI
1) Parte Prima: La complessità ignorata
a) Il finanziamento del SSN
b) La carenza del personale e della programmazione nella acquisizione del personale
c) La applicazione del PNRR tesa a risolvere, con sviluppo di attività e strutture territoriali, la carenza di alternative al ricovero ospedaliero come previsto dalla Riforma del DM 77/2022
2) Parte Seconda: i punti che rendono debole la progettazione della Riforma
a) Il quadro demografico
b) Il reddito medio delle famiglie italiane
c) Il rischio di povertà o esclusione sociale
d) L’invecchiamento della popolazione
3) Parte Terza: Il Progetto dell’Ospedale di Comunità e le strutture intermedie
a) Ospedale di Comunità
b) Strutture Intermedie
4) Parte quarta: Il peso economico della inappropriatezza nei ricoveri ospedalieri
a) Definizione di cura appropriata
b) Quattro fonti di dati
c) La mortalità in ospedale
d) Ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza
e) Il peso economico dei ricoveri inappropriati
f) Il costo medio del ricovero in ospedale di comunità e costo medio del ricovero in ospedale per intensità di cure
5) Parte Quinta: Il sistema dei valori bioetici e deontologici da condividere tra sanitari e cittadini e il biodiritto
6) Parte Sesta : quale collegamento tra il DM 77/22 e le riforme su Anziani e Disabili
a) La riforma della Disabilità
La Riforma: definizione di disabilità, ICD e ICF;
a) Le scelte politiche del Decreto Legislativo 3 maggio 2024 n. 62;
b) La sostenibilità del DM 77/2022 e provvedimenti economici del Decreto L.gs 62/2024;
c) La riduzione del Fondo per la Non Autosufficienza;
b) La riforma delle Politiche sugli Anziani
a) Le deleghe al Governo;
b) Definizioni;
c) Prestazione Universale;
d) Le risorse disponibili per soli 25000 anziani;
7) Parte Settima. Le Conclusioni
a) Il rischio di fallimento
b) Le scelte difficili della riconversione dei ricoveri
c) PDTA e biodiritto condiviso
PARTE PRIMA
La complessità ignorata
Il tema del diritto alla salute è ormai bloccato nel dibattito politico del Paese su tre aspetti comunque fondamentali:
-Il finanziamento del SSN;
-La carenza del personale e della programmazione nella acquisizione del personale;
-La applicazione del PNRR tesa a risolvere con sviluppo di attività e strutture territoriali la carenza di alternative al ricovero ospedaliero come previsto dalla Riforma del DM 77/2022 senza considerare le condizioni reddituali delle famiglie tra crisi economica e crisi demografica e gli effetti economici delle riforme sociali della disabilità e degli anziani.
Il finanziamento del SSN
In relazione alla spesa i dati di fonte terza internazionale sono i seguenti (Grafico 1):
Il cittadino italiano dispone quindi di una quota pro-capite per la salute nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei. L’Italia si colloca come spesa pubblica sanitaria al 13° posto in Europa e all’ultimo fra i paesi del G7.
Nel G7 dal 2008 siamo fanalino di coda per spesa pubblica con gap sempre più ampi e oggi divenuti incolmabili (Grafico 2).
Il SSN ha subito un imponente definanziamento.
L’inflazione ha chiuso drammaticamente il cerchio. Il DEF, documento di economia e finanza, indica con chiarezza una notevole perdita tra il 2021 ed il 2024, in base alla rielaborazione dei dati di Sole 24 Ore e Bankitalia:
Il finanziamento del SSN doveva pertanto essere nettamente superiore.
Sulla prospettiva economica del SSN è intervenuta GIMBE nel 2024, descrivendo come gli interventi governativi attuali siano caratterizzati da un apparente aumento del finanziamento smentito dalla lettura inequivocabile della percentuale di prodotto interno lordo investito in Sanità anche per i prossimi anni:
GIMBE afferma quindi che “la pandemia non ha insegnato proprio nulla. Infatti, il perseverante definanziamento pubblico aumenterà la distanza con i Paesi europei e affonderà definitivamente il SSN, compromettendo il diritto costituzionale alla tutela della salute delle persone, in particolare per le classi meno abbienti e per i residenti nelle Regioni del Sud”. Il confronto con l’Europa è insostenibile:
La carenza del personale e della programmazione nella acquisizione del personale
La carenza di personale di personale medico nel SSN ha una consolidata storia di mancanza di visione dei valori e delle scelte che devono governare la risoluzione del grave problema in atto.
La questione della programmazione costituisce un chiaro emblema della mancanza di dialogo tra Istituzioni quali Università e Ministero della Salute col mondo del lavoro e con le Regioni.
Alla base sussiste una visione agnostica della Sanità vista come produzione e consumo di prestazioni e non come mondo della scienza applicata alla tutela della salute che ha obiettivi legati a competenze in materia di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione, cure palliative/fine vita e medicina legale che devono essere raggiunti in base a principi di appropriatezza clinica, organizzativa e di biodiritto.
In questo senso ridare priorità alle specializzazioni, evitando un futuro di pletora medica indifferenziata, è indispensabile per tutelare il diritto dei cittadini ad avere le garanzie di una assistenza sanitaria e socio-sanitaria adeguate alle possibilità che le migliori evidenze scientifiche porgono e nel pieno rispetto della autodeterminazione dei cittadini stessi in ambito di biodiritto, mentre gli operatori devono poter ottenere risposte valoriali morali, economiche e di sicurezza nello sviluppo della propria attività lavorativa.
I numeri impietosi delle statistiche ormai numerose che si possono trovare con estrema facilità ci dicono che: Dati OECD.ORG: Italia in undicesima posizione per medico ogni mille abitanti in sede OCSE
La stima dei pensionamenti in Italia nel decennio 2023/2032, partendo dai dati del Ministero della Salute, indica in attività al 31/12/2021 237.392 medici dipendenti, convenzionati e privati, stima basata su dati del Conto Annuale dello Stato (CAT), di Onaosi ed Enpam che forniscono una distribuzione per età dei contribuenti, calcolando come limite quello di “vecchiaia” (67 anni per i dipendenti e 68 per i convenzionati, 70 per gli universitari) e sui dati OCSE 2024 (pensione di vecchiaia a 68 anni entro il 2032), stima pubblicata da ANAAO a marzo 2024. Si evidenzia un concreto quadro di quello che deve aspettarsi il Paese in termini di reale carenza medica fino al 2032:
È pertanto necessario offrire una formazione integrata tra Università e rete dei servizi ospedalieri e territoriali con miglioramento degli aspetti qualitativi e quantitativi e di conoscenza del valore morale e deontologico della professione sulla base del principio che la prima responsabilità da esercitare è quella morale. Altresì è necessario creare un sistema di incentivi e di valorizzazione del lavoro medico nel SSN in termini di riconoscimenti morale, sociale ed economico, oltre che di ruolo all’interno delle aziende, fattori indispensabili anche per evitare la fuga dei cervelli all’estero.
In altre parole solo un forte ruolo riconosciuto dalle Istituzioni Nazionali e Regionali degli Enti Intermedi ordinistici e sindacali può offrire una sponda per le soluzioni che solo in un clima di condivisione delle scelte sono possibili da realizzare.
Puntare semplicemente su obiettivi di pletora medica non è una soluzione.
La applicazione del PNRR tesa a risolvere con sviluppo di attività e strutture territoriali la carenza di alternative al ricovero ospedaliero come previsto dalla Riforma del DM 77/2022 senza considerare le condizioni reddituali delle famiglie tra crisi economica e crisi demografica e gli effetti economici delle riforme sociali della disabilità e degli anziani.
Dalla Missione 6 del PNRR è nato un lucido impegno nazionale condensato nella Riforma Sanitaria del DM 77/2022.
Il DM 77/2022, Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo della assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale, è condensabile in una immagine prodotta dalla Regione Toscana che evidenzia tutti i protagonisti di una impresa di riequilibrio dei servizi da dare ai cittadini tra ospedale e territorio:
Creare le basi sanitarie della comunità, realizzare integrazione e innovare sono i nuovi obiettivi del sistema sanitario rinnovato.
L’obiettivo centrale del nuovo sistema sanitario, così dettato dal DM 77/2022, è certamente quello di dare la assistenza sanitaria migliore ovvero più appropriata ai cittadini, evitando ricoveri inappropriati, favorendo una assistenza ambulatoriale e domiciliare integrata nel quadro di uno sviluppo della telemedicina, di una ospedalizzazione alternativa tramite gli ospedali di comunità ed una attività di assistenza sociale per rispondere ai diritti di base anche esigibili.
I punti che rendono debole la progettazione
Il quadro demografico è cambiato ed il numero delle famiglie con un solo componente è salito in modo elevato, come da misurazione del fenomeno tramite censimenti dal 1971 al 2019:
Nelle Regioni italiane del Centro le famiglie uni personali sono passate dal 10,9% del 1971 al 37,1%del 2019.
Tra i punti deboli interviene poi il reddito medio delle famiglie italiane (Dati ISTAT 2023):
Nel 2022, si stima che le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto pari in media a 35.995 euro, pari a circa 3.000 euro al mese. La crescita dei redditi familiari in termini nominali (+6,5%), con il proseguimento della ripresa economica e occupazionale successiva alla crisi pandemica, non è stata sufficiente però a compensare il deciso aumento dell’inflazione nel corso del 2022 (+8,7% la variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA) e i redditi delle famiglie sono così diminuiti in termini reali (-2,1%).
Il reddito equivalente, che tiene conto delle economie di scala e rende confrontabili i livelli di reddito di famiglie di diversa numerosità e composizione, è anch’esso diminuito in termini reali
(-2%). In questo caso il reddito include alcune poste non considerate nella definizione armonizzata a livello europeo, quali buoni pasto, fringe benefits non monetari (a eccezione dell’auto aziendale, inclusa anche nella definizione europea) e autoconsumi (beni prodotti e consumati dalla famiglia).
Rispetto all’anno precedente, nel 2022 i redditi familiari medi in termini reali sono diminuiti in modo particolarmente intenso nel Nord-ovest (-4,2%) mentre minore è stata la riduzione osservata nel Nord-est (-1,1%), nel Centro (-0,9%) e nel Mezzogiorno (-1,2%).
Il rischio di povertà o esclusione sociale
Nel 2023, il 22,8% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale: valore in calo rispetto al 2022 (24,4%) a fronte di una riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà, che si attesta al 18,9% (da 20,1% dell’anno precedente), e di un lieve aumento della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,7% rispetto al 4,5%).
Nel 2022, il reddito medio delle famiglie (35.995 euro) aumenta in termini nominali (+6,5%), mentre segna una netta flessione in termini reali (-2,1%) tenuto conto della forte accelerazione dell’inflazione registrata nell’anno.
Nel 2022, il reddito totale delle famiglie più abbienti è 5,3 volte quello delle famiglie più povere (era 5,6 nel 2021).
Nel 2023, il 18,9% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (circa 11 milioni e 121mila individui) avendo avuto, nell’anno precedente l’indagine, un reddito netto equivalente, senza componenti figurative e in natura, inferiore al 60% di quello mediano (11.891 euro). Al calo dell’incidenza di persone a rischio di povertà rispetto all’anno precedente (20,1%) ha contribuito l’insieme delle misure di sostegno alle famiglie, quali l’Assegno unico universale per i figli, i bonus una tantum per contrastare l’aumento nei costi dell’energia e le modifiche intervenute nella tassazione.
Il 4,7% della popolazione (circa 2 milioni e 788mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, ossia presenta almeno sette segnali di deprivazione dei 13 individuati dal nuovo indicatore Europa 2030. Rispetto al 2022 si osserva un aumento delle condizioni di grave deprivazione (la quota era del 4,5%) in particolare al Centro e al Sud e nelle Isole.
Da evidenziare è inoltre l’invecchiamento della popolazione.
Il fenomeno, ampiamente conosciuto da anni, è stato ignorato o comunque sottovalutato.
L’Italia è quindi un Paese che invecchia ed una delle sfide più complesse del 21° secolo, secondo l’ISS (2020) è l’ottimizzazione, da parte dei sistemi sanitari, delle risorse disponibili al fine di rispondere alla complessità delle domande di salute indotte dalla continua crescita delle patologie cronico-degenerative, considerando che circa il 70-80% delle risorse sanitarie mondiali vengono spese per la gestione delle malattie croniche (l’80% di tutte le patologie nel mondo).
La cronicità, in particolare nelle fasce più anziane della popolazione, comporta un crescente impegno di risorse e richiede continuità di assistenza di lunga durata e una forte integrazione tra i servizi sanitari e sociali, necessitando altresì di servizi residenziali e territoriali al momento poco sviluppati nel nostro Paese.
La sfida attuale è pertanto quella di stimare la dimensione del problema, prospettare un quadro di risorse e servizi adeguati, stimando il tasso di copertura dei bisogni del welfare pubblico almeno sulla media europea dell’8,1% del PIL, tenendo conto che la visione di un sistema di “cura” deve trovare un corretto equilibrio con l’altrettanto indispensabile sistema “del prendersi cura”, visione questa che non può avere solo una soluzione nel miglioramento, a breve e medio e lungo termine, del rapporto costo-efficacia delle politiche pubbliche attivabili, per consentire una migliore risposta sociale e sanitaria appropriata ai bisogni della popolazione anziana, garantita sulla base delle normative vigenti, nonché dalle disposizioni sui LEA che assicurano il diritto esigibile alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie degli anziani cronici e/o non autosufficienti in un quadro di equità di accesso ai trattamenti, ma anche una piena presa di coscienza deontologica per gli operatori sanitari e socio-sanitari e bioetica della popolazione intera, sostenuta quest’ultima da numerose ed importanti leggi o sentenze della Corte Costituzionale in materia di biodiritto.
PARTE TERZA
Il PROGETTO dell’Ospedale di Comunità e le strutture intermedie
Le possibili risposte del mondo sanitario tramite l’ospedale di comunità per la riconversione della assistenza da alta intensità di cura a bassa intensità ed il sistema dei valori bioetici e deontologici da condividere tra sanitari e cittadini
Ormai è ben chiaro che è necessario garantire un utilizzo appropriato dell’ospedale per acuti ovvero per intensità di cura tramite il potenziamento della rete alternativa al ricovero ospedaliero.
Il Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 dettava precise indicazioni in materia in merito alla integrazione/interazione funzionale tra le strutture territoriali e le strutture ospedaliere, che riveste un ruolo centrale nel regolamentare i flussi sia in entrata che in uscita dall’ospedale.
Le due nuove strutture richiamate nel Decreto erano:
–Ospedali di Comunità: il ruolo di filtro che gli ospedali di comunità svolgono nel contenimento dei ricoveri ospedalieri inappropriati.
“E’ una struttura con un numero limitato di posti letto (15-20) gestito da personale infermieristico, in cui l’assistenza medica è assicurata dai medici di medicina generale o dai pediatri di libera scelta o da altri medici dipendenti o convenzionati con il SSN; la responsabilità igienico -organizzativa e gestionale fa capo al distretto che assicura anche le necessarie consulenze specialistiche. Prende in carico pazienti che necessitano:
-di interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio, ma che necessitano di ricovero in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio (strutturale e familiare)
-di sorveglianza infermieristica continuativa
La degenza media prevedibile è di 15/20 giorni. L’accesso potrà avvenire dal domicilio o dalle strutture residenziali su proposta del medico di famiglia titolare della scelta, dai reparti ospedalieri o direttamente dal pronto soccorso.
L’assistenza sarà garantita sulle 24 ore dal personale infermieristico ed addetto all’assistenza, dai medici di medicina generale, dai pediatri di libera scelta e dai medici di continuità assistenziale.
La sede fisica dell’ospedale di comunità potrà essere opportunamente allocata presso presidi ospedalieri riconvertiti e/o presso strutture residenziali.
Gli standard nazionali si ritrovano nel Decreto 32 maggio 2022, n. 77, regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario nazionale, come segue:
– 1 Ospedale di Comunità dotato di 20 posti letto ogni 100.000 abitanti;
– 0,2 posti letto per 1000 abitanti da attuarsi in modo progressivo secondo la programmazione regionale.
Standard di personale per 1 Ospedale di Comunità dotato di 20 posti letto:
– 7-9 infermieri (di cui 1 Coordinatore infermieristico),
– 4-6 operatori sociosanitari,
– 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative e un medico per 4,5 ore al giorno 6 giorni su 7.
Il ruolo degli Ospedali di Comunità è fissato dal Decreto come segue:
“L’OdC come previsto dalla normativa vigente e dagli atti concertativi di riferimento (DM n. 70/2015, Patto per la Salute2014-2016, Piano nazionale della cronicità, Intesa Stato-Regioni del 20/02/2020), svolge una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, con la finalità di evitare ricoveri ospedalieri impropri e di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni assistenziali, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia più prossimi al domicilio.
L’OdC è una struttura sanitaria territoriale, rivolta a pazienti che, a seguito di un episodio di acuzie minore o per la riacutizzazione di patologie croniche, necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica potenzialmente erogabili a domicilio, ma che necessitano di assistenza/sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa, anche notturna, non erogabile a domicilio o in mancanza di idoneità del domicilio stesso (strutturale e/o familiare). Tali necessità possono concretizzarsi sia in occasione di dimissione da struttura ospedaliera, sia per pazienti che si trovano al loro domicilio, in questo secondo caso possono rientrare anche ricoveri brevi.”
L’OdC può avere una sede propria, essere collocato in una Casa della Comunità, in strutture sanitarie polifunzionali, presso strutture residenziali sociosanitarie oppure essere situato in una struttura ospedaliera, ma è riconducibile ai servizi ricompresi nell’assistenza territoriale distrettuale. L’Ospedale di Comunità deve essere realizzato nel rispetto delle norme vigenti a livello nazionale e regionale in materia di edilizia sanitaria. L’OdC deve essere dotato di servizi generali, nonché di eventuali opportuni spazi organizzati e articolati in modo tale da garantire lo svolgimento delle seguenti funzioni:
– locali ad uso amministrativo, cucina e locali accessori, lavanderia e stireria, servizio mortuario. Tali servizi possono essere in comune e/o condivisi con altre strutture e/o unità di offerta.
La gestione e l’attività nell’OdC sono basate su un approccio multidisciplinare, multiprofessionale ed interprofessionale, in cui sono assicurate collaborazione ed integrazione delle diverse competenze.
La responsabilità igienico sanitaria e clinica dell’OdC è in capo al medico e può essere attribuita ad un medico dipendente o convenzionato con il SSN. Pertanto può essere attribuita anche a MMG/PLS, SAI.
La responsabilità organizzativa è affidata ad un responsabile infermieristico (cfr. DM n. 70/2015), secondo quanto previsto dall’Accordo Stato-Regioni del 20 febbraio 2020.
L’assistenza infermieristica è garantita nelle 24 ore 7 giorni su7 con il supporto degli operatori sociosanitari, in coerenza con gli obiettivi del Progetto di assistenza individuale integrato (PAI) e in stretta sinergia con il responsabile clinico e gli altri professionisti sanitari e sociali coinvolti, familiari/caregiver, attraverso la formazione e l’addestramento alla migliore gestione possibile delle nuove condizioni cliniche e terapeutiche e al riconoscimento precoce di eventuali sintomi di instabilità.
In sintesi, le categorie principali di pazienti eleggibili sono le seguenti:
a) pazienti fragili e/o cronici, provenienti dal domicilio, per la presenza di riacutizzazione di condizione clinica preesistente, insorgenza di un quadro imprevisto in cui il ricovero in ospedale risulti inappropriato;
b) pazienti, prevalentemente affetti da multimorbidità, provenienti da struttura ospedaliera, per acuti o riabilitativa, clinicamente dimissibili per conclusione del percorso diagnostico terapeutico ospedaliero, ma con condizioni richiedenti assistenza infermieristica continuativa;
c) pazienti che necessitano di assistenza nella somministrazione di farmaci o nella gestione di presidi e dispositivi, che necessitano di interventi di affiancamento, educazione ed addestramento del paziente e del caregiver prima del ritorno al domicilio;
d) pazienti che necessitano di supporto riabilitativo-rieducativo, il quale può sostanziarsi in: valutazioni finalizzate a proporre strategie utili al mantenimento delle funzioni e delle capacità residue (es. proposte di fornitura di ausili); supporto ed educazione terapeutica al paziente con disabilità motoria, cognitiva e funzionale; interventi fisioterapici nell’ambito di percorsi/PDTA/protocolli già attivati nel reparto di provenienza e finalizzati al rientro a domicilio.
Accesso
L’accesso presso l’OdC avviene su proposta di:
– medico di medicina generale;
– medico di continuità assistenziale;
– medico specialista ambulatoriale interno ed ospedaliero;
– medico del pronto soccorso;
– pediatra di libera scelta.
Il ricovero presso l’OdC deve avere una durata non superiore a 30 giorni.
Solo in casi eccezionali e comunque motivati dalla presenza di situazioni cliniche non risolte la degenza potrà prolungarsi ulteriormente.
Monitoraggio
Gli Indicatori di monitoraggio degli Ospedali di Comunità
– Tasso di ricovero della popolazione >75 anni
– Tasso di ricovero in Ospedale per acuti durante la degenza in OdC
– Tasso di riospedalizzazione a 30 giorni
– Degenza media in OdC
– Degenza oltre le 6 settimane (o N° di outlier)
– N. pazienti provenienti dal domicilio
– N. pazienti provenienti da ospedali
– Dati su mortalità nei primi sette giorni dal ricovero
Flussi informativi
Strutture Intermedie: la assicurazione di una opportuna continuità di assistenza per quanto riguarda i flussi mediante l’utilizzo delle stesse strutture sanitarie intermedie per la stabilizzazione del paziente prima dell’avvio alla fase di riabilitazione e/o di ritorno al domicilio, diminuendo così la durata dei periodi di ricovero ospedaliero; in base al Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 la Regione Toscana ne ha previsto lo sviluppo con la DGRT N 909 del 07-08-2017, “Indirizzi regionali per l’organizzazione dei setting assistenziali di cure intermedie residenziali in fase di dimissione ospedaliera”.
La Delibera ricorda che il DM n.70/2015 definisce quindi le cure intermedie come unità di degenza post acuta, in grado di supportare la fase di deospedalizzazione con l’attivazione di interventi multidisciplinari coordinati con la medicina generale, in strutture a valenza territoriale, anche articolate su moduli diversificati di ricovero e di assistenza idonei ad ospitare pazienti in dimissione da reparti per acuti degli ospedali, in riferimento ai quali è necessario:
•consolidare le condizioni fisiche
•continuare il processo di recupero funzionale
•accompagnare il paziente con fragilità individuale o sociale nella prima fase del post-ricovero.
E’ istituito aziendalmente il collegamento dell’ospedale ad una centrale della continuità o altra struttura equivalente posta sul territorio di riferimento per la dimissione protetta e la presa in carico post ricovero anche per finalità riabilitative;
Il DM 70/2015 richiama anche la terza struttura: –Hospice: “Le Regioni completano l’attivazione degli hospice, di cui alla lett. c) dell’art. 2, comma 1, legge 15 marzo 2010, n. 38”.
Con queste importanti strutture si completerebbe il quadro delle attività alternative al ricovero ospedaliero, come da schema della RT che segue:
PARTE QUARTA
Il peso economico della inappropriatezza nei ricoveri ospedalieri
Il dato della inappropriatezza dei ricoveri interviene pesantemente per i costi che produce in un sistema sanitario già sotto finanziato.
Nel 2002 si affermava che l’appropriatezza era stata identificata come “prossima frontiera” nello sviluppo della pratica clinica: uno scenario in cui i medici agiscono, nel rispetto dei bisogni individuali dei pazienti, secondo linee guida cliniche e clinico-organizzative con vantaggi certi in termini di esito clinico e di equità dell’assistenza prestata (“La valutazione dell’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri in Italia con il metodo APPRO-calcolo delle soglie di ammissibilità per i 43 DRG del D.P.C.M. 2001 “livelli essenziali di assistenza” e stima delle quote di ricoveri inappropriati”).
In tal senso la valutazione della appropriatezza dei ricoveri ospedalieri in Italia con il metodo APPRO, (Ministero della Salute, Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio, Roma giugno 2002) è riconosciuto finalmente come tema centrale diretto a rispondere pertanto alla inappropriatezza organizzativa dei ricoveri ospedalieri, ritenuti impropri o inappropriati quando sono “effettuati per problemi clinici che si potrebbero affrontare, con pari efficacia, minor rischio di iatrogenesi e maggiore economicità nell’impiego delle risorse, ad un livello di assistenza meno intensivo” (Fortino A, e colleghi).
Definizione di cura appropriata
La crescita di una nuova fonte di appropriatezza ovvero quella organizzativa legata alla gestione del rischio clinico porta ad una utile evoluzione del concetto di appropriatezza: “una cura può considerarsi appropriata quando sia associata a un beneficio netto o, più precisamente, quando è in grado di massimizzare il beneficio e minimizzare il rischio al quale un paziente va incontro quando accede a determinate prestazioni o servizi”, (Ministero della salute: Manuale di formazione per il governo clinico: appropriatezza. Luglio 2012). Il manuale affermava che è bene infatti ricordare che la Sanità è un comparto a risorse finite e la finitezza delle risorse disponibili non può non avere impatto sul concetto stesso di cura appropriata. Nel Glossario a cura del Ministero della Salute, ad esempio, “l’appropriatezza definisce un intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo) correlato al bisogno del paziente (o della collettività), fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi”
Quattro fonti di dati
E’ interessante notare come nel Manuale del 2012 si riporti l’esperienza di studio inglese della inappropriatezza, basata su quattro fonti di dati:
-percentuale di persone diabetiche incluse nei nove processi assistenziali chiave raccomandati;
-percentuale di persone ricoverate in ospedale a seguito di stroke che hanno trascorso il 90% del tempo in una stroke unit;
– tasso standardizzato di ricovero in urgenza di anziani >75 anni *1.000 abitanti;
– percentuale di decessi avvenuti in ospedale (sul totale dei decessi avvenuti in una Local Authority).
Allo scopo il manuale riporta in particolare il dato 2006-2008:
-“In Inghilterra si verificano circa 450 mila decessi ogni anno, oltre la metà dei quali avviene in ospedale. Le persone dovrebbero avere l’opportunità di scegliere dove morire e dovrebbero essere evitate le ospedalizzazioni, quando possibili, di coloro che sono in condizioni terminali.”
In tal senso viene infatti affermato che “bisognerebbe porre attenzione al supporto degli anziani sofferenti di problemi multipli in contesti assistenziali diversi dall’ospedale. Una molteplicità di luoghi possono rappresentare una casa per l’anziano, non solo la propria dimora, come ad esempio le case protette e le strutture residenziali. Ciascuna persona per la quale la morte non rappresenti un evento inatteso dovrebbe avere un piano di assistenza che tenga conto dei suoi bisogni e delle sue preferenze riguardo alla fine della vita. Un tale piano dovrebbe essere conosciuto dai medici di medicina generale, dai servizi sanitari territoriali e ospedalieri e dai servizi sociali. È possibile ottenere un maggiore valore per l’individuo e per la popolazione spostando le risorse dall’assistenza ospedaliera a quella domiciliare.”
La mortalità in ospedale
A confronto il dato italiano sulla mortalità in ospedale, non affrontato nel manuale, sembra migliore, essendo certamente un dato preoccupante che pone ed apre riflessioni necessarie anche in ambito deontologico e bioetico.
I dati di mortalità dell’Istituto Superiore di Sanità riferiti all’Italia e relativi al 2014 (anno campione) mostrano un totale complessivo nazionale di 595.293 decessi; di questi, 198.156 sono avvenuti in ospedale e per il 51,7% nei reparti di medicina interna o di geriatria (dati SDO depositate al Ministero della Salute).
In linea tendenziale, questi numeri possono cambiare nel breve periodo solo se si sviluppano le strutture alternative all’ospedale (Ospedali di Comunità, Hospice) e ovviamente una ADI, che però deve trovare famiglie organizzate in tal senso. Nel lungo periodo è possibile che l’aumento della popolazione anziana possa controbilanciare l’effetto favorevole iniziale.
Gli studi fatti da ARS RT nel 2016 evidenziano che tra i principali rilievi effettuati sull’ultimo mese di vita dei pazienti si osserva, nel 2016, un cospicuo ricorso a cure ad alto livello d’intensità e invasività:
– quasi due terzi dei pazienti hanno fatto almeno un accesso al pronto soccorso e il 75% ha è stato ricoverato nell’ultimo mese di vita, il 4% dei pazienti ha ricevuto una nuova seduta di chemioterapia e il 3,6% di radioterapia.
– il ricorso alle cure palliative permane inferiore alle aspettative e riguarda poco più di un quarto della popolazione oggetto dello studio: il 13% dei pazienti ha attivato un percorso domiciliare con i servizi territoriali, l’11% si è rivolto all’hospice, e un 2% ha attivato sia un percorso di cure domiciliari che in hospice.
– un paziente con patologia neoplastica su cinque ha fatto uso di oppioidi a domicilio, mentre la percentuale è del 6% se si tratta di malattie croniche. Il decesso, infine, è avvenuto in ospedale in quasi la metà dei casi (46,5%), con differenze sostanziali a seconda della patologia di base: 54% nel caso delle malattie croniche, 38% per le neoplasie.
I pazienti con maggior probabilità di morire in ospedale sono i maschi, le classi di età più giovani e le persone con un numero maggior di comorbidità.
Ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza
Successivamente il Ministero della Salute nel Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero, Dati SDO 2020, Luglio 2022, ha studiato la distribuzione per Regione del totale dei ricoveri, dei ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza, e dei ricoveri potenzialmente inappropriati in quanto effettuati come tipo di ricovero ordinario.
La tabella che segue del Ministero riporta per Regione la distribuzione dei ricoveri totali e di quelli relativi ai 108 DRG ad alto rischio di inappropriatezza per l’anno 2020 e tra questi distingue quelli potenzialmente inappropriati in quanto effettuati nella forma del ricovero ordinario:
Quasi 7 milioni sono i ricoveri complessivi effettuati nel 2020 nel nostro Paese ed il 20% (poco meno di 1.400.000) appartiene al gruppo dei 108 DRG considerati a rischio elevato di inappropriatezza. Il volume di questi DRG varia da Regione a Regione, con un minimo del 12,39% in Puglia ed un massimo del 29,56% in Sardegna. Tra questi ricoveri vengono definiti potenzialmente inappropriati quelli effettuati nella forma del ricovero ordinario (588.681), che corrispondono al 8,64% dei ricoveri totali, anche questa quota con variabilità tra un minimo di 6,83% (Sicilia) e 7,06% (Toscana) ed un massimo di 10,78% (P.A. Bolzano) e 11,62% (Friuli).
Il peso economico dei ricoveri inappropriati
In base a fonte FADOI 2024 in media tre ricoveri ospedalieri su dieci si potrebbero evitare con una migliore presa in carico dei pazienti da parte dei servizi territoriali. In numeri prospetticamente assoluti si potrebbero potenzialmente evitare 2 milioni e 250000 ricoveri all’anno, con un recupero potenziale di circa sei miliardi di euro, tenuto conto che il costo medio di un ricovero è di circa tremila euro all’anno.
In Toscana la proiezione di spesa giornaliera di un ricovero inappropriato, al costo presunto di 800 euro al giorno, su 31722 ricoveri inappropriati, rappresenta su una sola giornata almeno 25 milioni di euro per difetto.
La risposta organizzata a tale dimensione del fenomeno della inappropriatezza dei ricoveri ospedalieri si trova nel DM 77/2022 e nella sua applicazione e deve contare sulla rete dei presidi previsti a bassa intensità di cura come Ospedali di Comunità, Strutture Intermedie, Hospice oltre allo sviluppo della assistenza domiciliare, tenuto conto che quest’ultima deve contare sulla tenuta organizzativa ed economica delle famiglie se sostenute dal sistema sociosanitario pubblico.
Il costo medio del ricovero in Ospedale di comunità e costo medio del ricovero in Ospedale per intensità di cure
Il confronto fra il costo medio del ricovero in ospedale di comunità rispetto al costo medio del ricovero in ospedale per intensità di cure è stato oggetto di studi sia di AGENAS (2022) che delle Agenzie Sanitarie Regionali e ci dice che il primo è attualmente 4 volte inferiore al secondo.
Il costo medio della degenza ospedaliera varia comunque in modo significativo da Regione a Regione. Il costo dipende infatti da vari fattori tra i quali la tipologia della struttura ospedaliera, del trattamento e delle politiche sanitarie regionali. Secondo il Ministero della salute il costo medio di ricovero ospedaliero nelle strutture pubbliche può variare da 500 a 1000 euro, comunque con un dato medio giornaliero alla elaborazione ASSR 2004:
E’ credibile quindi l’affermazione di un costo giornaliero medio del ricovero 4 volte superiore tra Ospedale per intensità di cure ed Ospedale di Comunità.
QUINTA PARTE
Il sistema dei valori bioetici e deontologici da condividere tra sanitari e cittadini e il biodiritto
Il nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale ha bisogno di esprimere una rinnovata convinzione della centralità dell’essere umano nel sistema sanitario e sociale italiano.
I cambiamenti non arrivano se i protagonisti non sono alleati e compartecipi di un progetto comune dove i valori in campo sono i valori di tutti.
I traguardi non sono indifferenti:
– Arrivare ad almeno 842.000 persone totali over 65 in assistenza domiciliare;
– Creare almeno 1.038 case della comunità;
– Realizzare almeno 307 Ospedali di Comunità rinnovati, interconnessi e tecnologicamente avanzati;
– Attivare almeno 480 Centrali Operative Territoriali per il coordinamento dei servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari;
– Potenziare i servizi territoriali per la popolazione più fragile: centri di prossimità, servizi di salute mentale, consultori familiari, screening oncologici;
– Sviluppare un nuovo assetto di prevenzione collettiva e sanità pubblica basato sull’approccio one health attraverso:
– il rafforzamento delle strutture e dei servizi di SNPS-SNPA;
– la formazione in salute-ambiente;
– la ricerca applicata con approcci multidisciplinari mirata ad interventi integrati salute – ambiente – clima.
E’ sufficiente riaffermare semplicemente che il Servizio Sanitario nazionale (SSN) è un sistema di strutture e servizi che hanno lo scopo di garantire a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza, l’accesso universale all’erogazione equa delle prestazioni sanitarie, in attuazione dell’art.32 della Costituzione?
E’ sufficiente riaffermare che i principi organizzativi del SSN non si mettono in discussione ed ovvero che la centralità della persona è garantita dalla serie di diritti esercitabili da parte dei singoli cittadini e che rappresentano dei doveri per tutti gli operatori sanitari, dal medico a chi programma l’assistenza territoriale come la libertà di scelta del luogo di cura, il diritto a essere informato sulla malattia, il diritto ad essere informato sulla terapia e opporsi o dare il consenso (consenso e dissenso informati), il diritto del paziente di “essere preso in carico” dal medico o dall’équipe sanitaria durante tutto il percorso terapeutico, il diritto alla riservatezza, il dovere della programmazione sanitaria di anteporre la tutela della salute dei cittadini (che rappresenta il motivo principale dell’istituzione del SSN) a tutte le scelte, pur in un quadro di risorse limitate?
E’ sufficiente indicare che la tutela del diritto alla salute è una responsabilità pubblica quando la deregulation legislativa ha messo in discussione tutto il sistema con la legislazione in tema di autonomia differenziata ed in un quadro di definanziamento e di aumento esponenziale della spesa sanitaria out of pocket ed in una evoluzione di consumismo sanitario che dimentica la prevenzione?
La risposta a queste domande è sicuramente negativa.
Emerge pertanto da una parte un ruolo importante degli Enti Intermedi ordinistici, sussidiari dello Stato, che devono svolgere e stanno svolgendo il loro ruolo morale di difesa della qualità dell’esercizio delle professioni e del valore morale della tutela della salute da parte delle stesse senza confine alcuno, riaffermando la centralità del cittadino che le garanzie che ogni operatore deve offrire sono deontologiche e scientifiche e pronte ad affrontare gli indispensabili temi del biodiritto in materia di consenso e dissenso informati, disposizioni anticipate di trattamento, pianificazione condivisa delle cure e morte medicalmente assistita.
Per il medico la risposta si ritrova nella difesa della relazione di cura tra medico e paziente ed è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità, perseguendo il medico nella relazione l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura.
L’integrazione socio-sanitaria dovrà completare l’opera.
Ovviamente la formazione in materia dei cittadini e degli operatori è indispensabile. La conoscenza è infatti la prima base per costruire il rapporto di fiducia del quale l’intero sistema socio-sanitario ha bisogno sia in ambito pubblico che privato, prendendo anche atto in primo luogo che la vita e la finitezza naturale della vita sono le facce della stessa medaglia.
SESTA PARTE
Quale collegamento tra il DM 77/22 e le riforme su anziani e disabili ?
La domanda che ci dobbiamo porre è come tali riforme, costruite per dare prossimità alle prestazioni e per aiutare i singoli e le famiglie con adeguati interventi sociosanitari, fattore quest’ultimo indispensabile per poter sviluppare una ADI sostenibile per le famiglie stesse, influenzino il quadro generale della tenuta economica del sistema sanitario e socioassistenziale.
La Riforma della disabilità
La legge 22 dicembre 2021, n. 227, Delega al governo in materia di disabilità, dà il potere al Governo di intervenire con uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità, in attuazione degli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione e in conformità alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e del relativo Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, alla Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030, di cui alla comunicazione della Commissione europea COM(2021) 101 final, del 3 marzo 2021 e alla risoluzione del Parlamento europeo del 7 ottobre 2021 sulla protezione delle persone con disabilità, al fine di garantire alla persona con disabilità il riconoscimento della propria condizione, anche attraverso una valutazione della stessa congruente, trasparente e agevole che consenta il pieno esercizio dei suoi diritti civili e sociali, compresi il
diritto alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa, nonché l’effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei trasferimenti finanziari previsti e di ogni altra relativa agevolazione e di promuovere l’autonomia della persona con disabilità e il suo vivere su base di pari opportunità con gli altri, nel rispetto dei princìpi di autodeterminazione e di non discriminazione.
Il passo successivo del Governo è stato quello di emanare il Decreto Legislativo 3 maggio 2024 n. 62 che è intitolato: “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”.
La definizione di persona disabile modifica l’articolo 3 della legge 104/1992 (rif. art. 3, comma 1): “è persona con disabilità chi presenta durature compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri, accertate all’esito della valutazione di base”.
La compromissione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale è rappresentata dall’impairment / menomazione che compromette le capacità individuali, analizzabili col qualificatore Capacità/ICF che descrive la difficoltà con cui viene svolta un’attività in assenza di fattori ambientali specifici o adattati.
E’ da tener presente che il DM 77 del 23 maggio 2022 aveva fissato il nuovo ruolo del SSN, come caratterizzato su assistenza territoriale, prossimità, integrazione sociosanitaria.
Leggendo in continuità la Legge 227/2021 ed il DM 77/2022 emerge un ruolo ben chiaro di integrazione socio-sanitaria nella valutazione della disabilità, come da schema che segue (Martelloni ed altri, Rivista Italiana di Medicina Legale, n. 3/2023, “La legge 227 del 22 dicembre 2021 e la riforma della legislazione”…, “proposta”… COMLAS e SIMLA “in materia di in materia di valutazione di base della disabilità”).
In questo senso l’utilizzo integrato delle classificazioni ICD ed ICF diventa indispensabile (Martelloni ed altri, Rivista Italiana di Medicina Legale, n.3/2023, “La legge 227 del 22 dicembre 2021 e la riforma della legislazione”…, “proposta”… COMLAS e SIMLA “in materia di in materia di valutazione di base della disabilità”):
Le scelte politiche del Decreto Legislativo 3 maggio 2024 n. 62 sono chiare:
– INPS sostituisce il SSN e i SSR in materia di accertamento di base della disabilità.
Il modello derivante dalla legge 328/2000 ovvero di garanzia di giustizia sociale del SSN viene trasformato in un modello basato sul concetto di sistema di controllo statale sull’accertamento di base della disabilità.
Le conseguenze non sono indifferenti in quanto la materia è tolta alle Regioni. Il ruolo è quindi assegnato all’ENTE UNICO: INPS, che agirà tramite un sistema funzionariale con medici specialisti e non, anche senza qualificazione specifica, sistema che fonda la propria organizzazione sul principio della abolizione della terzietà ed indipendenza del valutatore.
Sostenibilità del DM 77/2022 e provvedimenti economici del Decreto L.gs 62/2024
Ma rispetto all’insieme della sostenibilità della integrazione sociosanitaria del DM 77/2022 intervengono strutturalmente i provvedimenti economici del Decreto L.gs 62/2024:
– Art. 9 comma 7: Assunzioni per INPS
–Per le assunzioni di cui al comma 6 è autorizzata una spesa pari a:
–euro 7.146.775 per l’anno 2024,
–euro 71.629.183 per l’anno 2025,
-euro 215.371.872 annui a decorrere dall’anno 2026.
Inoltre in favore dell’INPS sono disposte spese pari a:
– euro 2.483.256 per l’anno 2024 per procedure concorsuali e per le spese di funzionamento,
– euro 1.625.593 per l’anno 2025 e pari ad euro 198.244 euro annui a decorrere dall’anno 2026, per le spese di funzionamento.
La parte rilevante della disposizione finanziaria è quella che riguarda la scelta della copertura:
-la copertura degli oneri derivanti avviene ai sensi dell’articolo 34.
La Tabella che segue illustra in sede di Commissioni parlamentari il complesso della spesa affrontata.
Ma i provvedimenti economici del D.Lgs 62/2024 sono stati previsti ai sensi art. 9 comma 8 per finanziare gli oneri derivanti dalla presenza nelle Commissioni INPS dei professionisti sanitari in rappresentanza di Associazioni con la seguente spesa:
-6,6 milioni di euro per il 2025;
-32,8 milioni di euro per il 2026.
In merito alla copertura della spesa la norma prevede che si provvede tramite art. 34.
L’art. 34 del D.Lgs 62/2024 è intitolato alle Disposizioni Finanziarie:
-“1. Agli oneri derivanti dagli articoli 9, commi 7 e 8, 31, comma 1, e 32, comma 3, pari a 29.630.031 euro per l’anno 2024, 134.854.776 euro per l’anno 2025, 273.370.116 euro annui a decorrere dall’anno 2026 si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità di cui all’articolo 1, comma 178, della legge 30 dicembre 2021, n. 234.”
La riduzione del Fondo per la non autosufficienza
Si afferma ovvero per la prima volta nella legislazione italiana che per finanziare una riforma si riduce il fondo che finanzia le famiglie povere economicamente:
-L’atto del Governo nazionale ha disposto la RIDUZIONE del FONDO PER LA NON AUTOSUFFICIENZA.
La Riforma delle politiche sugli Anziani
Le deleghe al Governo
Parallelamente è intervenuta l’approvazione della Legge 33 del 23 marzo del 2023, “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”:
-“1. La presente legge reca disposizioni di delega al Governo per la tutela della dignità e la promozione delle condizioni di vita, di cura e di assistenza delle persone anziane, attraverso la ricognizione, il riordino, la semplificazione, l’integrazione e il coordinamento, sotto il profilo formale e sostanziale, delle disposizioni legislative vigenti in materia di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria alla popolazione anziana, anche in attuazione delle Missioni 5, componente 2, e 6, componente 1, del PNRR, nonché attraverso il progressivo potenziamento delle relative azioni, nell’ambito delle risorse disponibili ai sensi dell’articolo 8”.
Successivamente è stato approvato il Decreto Legislativo 15 marzo 2024, n. 29:
-“Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023, n. 33”.
Definizioni
Sommariamente si ricorda che il Decreto 29/2024 provvede in ambito di “Definizioni e disposizioni di coordinamento”:
-1. Ai fini del presente decreto sono adottate le definizioni di cui all’articolo 1 della legge 23 marzo 2023, n. 33, nonché le seguenti:
a) «persona anziana»: la persona che ha compiuto 65 anni;
b) «persona grande anziana»: la persona che ha compiuto 80 anni;
c) «persona anziana non autosufficiente»: la persona anziana che, anche in considerazione dell’età anagrafica e delle disabilità pregresse, presenta gravi limitazioni o perdita dell’autonomia nelle attività fondamentali della vita quotidiana e del funzionamento bio-psico-sociale, valutate sulla base di metodologie standardizzate (ICF).
Prestazione Universale
Il Decreto 29/2024 provvede in particolare ad istituire ai sensi dell’art.34:
-La prestazione universale:
-“1. È istituita, in via sperimentale, dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026, una prestazione universale, subordinata allo specifico bisogno assistenziale al fine di promuovere il progressivo potenziamento delle prestazioni assistenziali per il sostegno della domiciliarità e dell’autonomia personale delle persone anziane non autosufficienti”.
Nel successivo art. 36 è stabilito l’oggetto del beneficio:
-“ 1. La prestazione universale di cui all’articolo 34 è erogabile sotto forma di trasferimento monetario e di servizi alla persona, previa individuazione dello specifico bisogno assistenziale gravissimo, definito ai sensi dell’articolo 34, commi 2 e 3.
-2. La prestazione universale, esente da imposizione fiscale e non soggetta a pignoramento, è erogata su base mensile ed è composta da:
–a) una quota fissa monetaria corrispondente all’indennità di accompagnamento di cui all’articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18;
–b) una quota integrativa definita «assegno di assistenza», pari ad euro 850 mensili, finalizzata a remunerare il costo del lavoro di cura e assistenza, svolto da lavoratori domestici con mansioni di assistenza alla persona titolari di rapporto di lavoro conforme ai contratti collettivi nazionali di settore”.
L’art. 35 prevede i beneficiari:
-1. La prestazione universale di cui all’articolo 34 è erogata dall’INPS ed è riconosciuta, previa espressa richiesta, alla persona anziana non autosufficiente in possesso dei seguenti requisiti:
a) un’età anagrafica di almeno 80 anni;
b) un livello di bisogno assistenziale gravissimo, come definito ai sensi dell’articolo 34, commi 2 e 3;
c) un valore dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) per le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria, ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in corso di validità, non superiore a euro 6.000;
d) titolarità dell’indennità di accompagnamento di cui all’articolo 1, primo comma, della legge 11 febbraio 1980, n. 18, ovvero possesso dei requisiti per il riconoscimento del suddetto beneficio.”
Il testo merita un necessario filtro in base ai dati ISTAT:
-7 milioni e 658mila persone con disabilità certificate nel 2021:
-455000 minori;
-958000 tra 18 e 64 anni di età;
-4 milioni e 245mila over 65.
Le risorse disponibili
Il resto del significato economico della norma va fatto, andando alla fonte ovvero al Dossier del Senato della Repubblica del Febbraio 2024:
-La RT (Relazione Tecnica) afferma che:
-1) ”Sulla base del numero dei beneficiari annui di indennità di accompagnamento con età almeno pari a 80 anni pari a circa 1,085 milioni e sulla base delle ipotesi che il numero dei beneficiari con bisogno assistenziale gravissimo sia riferito a circa il 23% di essi, stima un numero di potenziali beneficiari pari a circa 250.000.
-2) Sulla base poi delle basi tecniche rilevabili dalla prestazione dell’home care premium gestito dall’INPS la RT stima che di essi circa il 10% abbia un ISEE sanitario inferiore a 6.000 euro. Pertanto il numero di potenziali beneficiari della prestazione è pari a circa 25 mila, cui corrisponde una spesa per prestazione monetaria che viene finanziata dalla corrispondente mancata erogazione dell’indennità di accompagnamento e una spesa per servizi pari a 250 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2025 e 2026.”
Le risorse rese disponibili ovvero allocate sono 250 milioni per ciascun anno di sperimentazione, ma col filtro previsto la misura interesserà meno di 25.000 anziani.
SETTIMA PARTE
CONCLUSIONI
Il rischio di fallimento
Il rischio di un fallimento dell’impianto delle riforme è palese per due motivi:
1) La legge di bilancio 2024 non prevede nessun investimento economico per metterle a regime; il secondo è l’instabilità del processo di riordino;
2) Il potenziamento della sanità territoriale ( DM 77/2022) deve fare i conti con il ridimensionamento operato degli obiettivi trasversali della Missione 6 Salute del PNRR (- 312 case della Comunità, – 74 Ospedali di comunità, – 76 COT), che creerà significative ricadute anche sugli interventi per l’ADI e la Telemedicina soprattutto in previsione dello incremento (da 800mila a 842mila) di over 65 da prendere in carico nell’assistenza domiciliare la cui platea pari al 45% è affetto da almeno una malattia cronica grave.
In relazione alle risorse economiche emergono tagli, – 400 milioni (350+50) nei riguardi di 7.658.000 persone con disabilità con nessun incremento dal 2025.
Con l’andamento demografico si prevede però un aumento dell’invecchiamento della popolazione che porterà inevitabilmente a un aumento della disabilità e che richiederebbe, oltre ad una riorganizzazione di tutto il sistema del welfare, un piano di investimenti certo e strutturale in grado di garantire servizi di qualità.
Inoltre il Rapporto di Monitoraggio sull’ISEE relativo al 2021, realizzato dalla Direzione generale per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, indica che nel corso del 2021 sono state presentate 9,5 milioni di DSU, relative a 7,8 milioni di nuclei familiari, pari al 29% del complesso delle famiglie e a oltre 21 milioni di persone, corrispondenti al 36% della popolazione residente.
Un quarto della popolazione ISEE presentava un indicatore al di sotto di 3.000 euro ed in particolare quasi una famiglia su dieci ha l’ISEE nullo; nella fascia compresa tra i 3.000 ed i 9.000 euro si colloca circa un terzo di famiglie (31%). Le DSU non sono state tuttavia presentate soltanto da nuclei familiari in condizione di disagio economico, in un caso su cinque l’ISEE supera i 20.000 euro e in quasi uno su dieci si va oltre i 30.000 euro. L’ISEE medio è pari, nel 2020, a 11.625 euro; la mediana, il valore, che divide in due parti uguali la distribuzione delle famiglie, si colloca a 8.046 euro.
In particolare il fondo non autosufficienza Regione Toscana, fissato con DGRT 1577/2023 deve fare i conti con le risorse non più messe a disposizione in sede nazionale.
In merito poi alla possibilità di sviluppo di servizi territoriali ed al recupero di risorse dal contenimento dei ricoveri ospedalieri inappropriati i dati di mortalità elaborati in sede ISS ci indicano che nell’anno campione 2014 ci sono stati 595293 decessi in Italia dei quali 198000 avvenuti in Ospedale e per il 51,7% nei reparti di medicina interna o di geriatria (SDO Ministero della Salute).
In tal senso i dati elaborati da ARS RT nel 2016 ci indicano quanto segue:
-Tra i principali rilievi effettuati sull’ultimo mese di vita dei pazienti si osserva, nel 2016, un cospicuo ricorso a cure ad alto livello d’intensità e invasività.
-Quasi due terzi dei pazienti hanno fatto almeno un accesso al pronto soccorso, e il 75% è stato ricoverato nell’ultimo mese di vita, il 4% dei pazienti ha ricevuto una nuova seduta di chemioterapia e il 3,6% di radioterapia.
-Il ricorso alle cure palliative permane inferiore alle aspettative, e riguarda poco più di un quarto della popolazione oggetto dello studio: il 13% dei pazienti ha attivato un percorso domiciliare con i servizi territoriali, l’11% si è rivolto all’hospice, e un 2% ha attivato sia un percorso di cure domiciliari che in hospice.
-Un paziente con patologia neoplastica su cinque ha fatto uso di oppioidi a domicilio, mentre la percentuale è del 6% se si tratta di malattie croniche. Il decesso, infine, è avvenuto in ospedale in quasi la metà dei casi (46,5%), con differenze sostanziali a seconda della patologia di base: 54% nel caso delle malattie croniche, 38% per le neoplasie.
-I pazienti con maggior probabilità di morire in ospedale sono i maschi, le classi di età più giovani e le persone con un numero maggior di comorbidità.
Le scelte difficili della riconversione dei ricoveri
Sono quindi necessarie anche nella Regione Toscana scelte difficili:
-E’ necessario un Piano di riconversione dei ricoveri da alta intensità di cura a bassa intensità anche utilizzando come sedi comuni, per gli ospedali di comunità, le strutture ospedaliere attuali, possibilità oltretutto prevista dal DM 70/2015.
PDTA e biodiritto condiviso
Concludendo in un quadro difficile scelte difficili l’utilizzo mirato delle risorse rappresenta una priorità ed il riequilibrio degli accessi inappropriati in ospedale non è solo una scelta che comunque va supportata con buone pratiche clinico-assistenziali condivise, ma anche mettendo in campo i valori morali che sottintendono a queste scelte, facendo della autodeterminazione e della appropriatezza la forza condivisa tra cittadini ed operatori sanitari e socio-sanitari tutti che operi contro ogni forma di accanimento terapeutico, consci che in questo modo vengono ad essere tutelate la qualità della vita delle persone assistite e soprattutto la loro libertà e la loro dignità.