Maria Elisabetta Coccia, Direttore SODc PMA – AOU Careggi, Professore Associato UNIFI
Benedetta Gabbrielli, Medico in Formazione Specialistica in Ginecologia e Ostetricia, AOU Careggi UNIFI
Francesca Piazzini, Ostetrica AOU Careggi, Docente UNIFI
Parole chiave preservazione della fertilità, oncofertilità, cancro, Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), qualità della vita.
Abstract
La Regione Toscana offre alle giovani donne con diagnosi di cancro l’importante opportunità di preservare la fertilità, dando loro la speranza di poter avere un figlio dopo la malattia, anche nei casi di tumori ormonosensibili. La SODc PMA di Careggi è HUB per la Toscana Centro e presenta l’esperienza del suo servizio multidisciplinare.
I dati epidemiologici dei Registri nazionali ed internazionali degli ultimi anni mostrano un incremento delle diagnosi oncologiche nei giovani adulti. In particolare, il tumore della mammella è il tumore maligno più frequente e prima causa di morte nelle donne sotto i 40 anni di età. D’altro canto, il miglioramento della prognosi a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni sta rendendo sempre più evidente che, accanto al trattamento della patologia oncologica (che continua ad essere la sfida prioritaria), ad oggi è possibile, aspirare a traguardi sempre più ambiziosi anche in termini di qualità della vita. In questo contesto acquisisce un immenso valore l’oncofertilità, quella branca della medicina della riproduzione che si occupa della preservazione della fertilità in pazienti che, a causa della propria patologia, vedono minacciata la possibilità avere figli.
È infatti noto ormai da tempo che uno degli effetti indesiderati a lungo termine più spiacevoli delle terapie antitumorali è la gonadotossicità, ovvero la tossicità a livello delle gonadi – che nella donna sono rappresentate dalle ovaie – con conseguente insufficienza ovarica prematura, che comporta l’anticipazione dell’età menopausale e l’incapacità di procreare. Questo effetto avverso che si accompagna alle terapie oncologiche (che hanno sempre e comunque una funzione necessaria e salva-vita) contribuisce sicuramente ad aumentare il livello di stress psicologico ed emozionale in un momento di vita già estremamente complesso.
Preservare la fertilità oggi è possibile, mediante tecniche utilizzate da tempo nell’ambito della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), adattate alle necessità e peculiarità della paziente oncologica.
La nostra Regione è stata e continua ad essere particolarmente sensibile a queste tematiche. Con le due delibere n. 809/2015 e n. 1197/2019 è stata la prima in Italia ad offrire l’opportunità di preservare la fertilità a pazienti, uomini e donne, affetti da neoplasie maligne (ma anche per coloro che hanno in previsione trattamenti gonadotossici per altri motivi, oltre alle condizioni di endometriosi severa e di ridotta riserva ovarica).
Le Linee Guida ESHRE sono chiare: di fronte ad una giovane paziente a cui è stato prospettato un percorso terapeutico potenzialmente gonadotossico, è sempre opportuno che l’oncologo tenga conto della possibilità della preservazione, ed informi e sensibilizzi la paziente riguardo a questi aspetti; in caso di dichiarato interesse, è opportuno inviarla allo specialista di medicina della riproduzione.
Figura 1
La paziente sarà presa in carico (entro 72 ore) tempestivamente: in tale occasione si rappresenterà il percorso, prendendo in considerazione le problematiche specifiche del caso e le tempistiche legate allo stato di salute e alla terapia proposta dall’oncologo. In caso di volontà a procedere è possibile iniziare il trattamento farmacologico volto alla stimolazione ovarica, al fine di minimizzare l’intervallo tra la terapia legata alla tutela della fertilità e quella salva-vita antitumorale. Per garantire tutto ciò, la nostra Regione ha costruito un modello organizzativo a rete, dove sono state identificate delle Aree Vaste con hub di riferimento per la preservazione (che nel caso dell’Area Vasta Centro è la SOD di PMA dell’AOU Careggi) e vari spoke, sia all’interno dell’AOUC sia nei punti oncologici del territorio (Prato, Pistoia, Empoli, Firenze).
La vitrificazione degli ovociti è il gold standard per le donne in età fertile. Tale tecnica prevede la stimolazione con gonadotropine per un tempo di 10-12 giorni, durante i quali vengono eseguiti controlli ecografici ed ormonali per identificare il momento ottimale per il prelievo ovocitario, metodica mininvasiva con cui, sotto visione ecografica, si aspira per via transvaginale il liquido follicolare, dal quale vengono poi isolati gli ovociti. È auspicabile ottenere il massimo numero possibile di ovociti in funzione dell’età e della riserva ovarica (possibilmente superiore a 10) per massimizzare le possibilità di gravidanza e di “bambino in braccio”. Una volta raccolti, gli ovociti vengono selezionati in base allo stadio maturativo: vengono crioconservati esclusivamente i cosiddetti ovociti “maturi” (in stadio di metafase II), con una particolare tecnica chiamata vitrificazione, che consente di conservarli per anni (la crioconservazione di ovociti “immaturi” è ancora in fase sperimentale). Questi ovociti potranno poi essere riportati a temperatura ambiente ed utilizzati per una fecondazione in vitro nel caso in cui la donna desiderasse una gravidanza a distanza di tempo.
Un’ulteriore via percorribile è quella della crioconservazione del tessuto ovarico, che consiste nell’asportazione di almeno parte del tessuto ovarico per via laparoscopica, con successiva crioconservazione dei frammenti ottenuti. È una tecnica invasiva, che prevede un vero e proprio intervento chirurgico. Tale tecnica è meno diffusa, ma risulta indicata in particolare per le pazienti prepuberi e nei casi in cui non vi siano i tempi per eseguire una stimolazione ovarica.
Altre opzioni da considerare, non in alternativa alle precedenti bensì come coadiuvanti, sono: la somministrazione di GnRH-analogo per “proteggere” le ovaie dai trattamenti potenzialmente dannosi (doverosa durante il trattamento chemioterapico), la chirurgia fertility sparing per quanto riguarda i tumori dell’apparato riproduttivo, ed il congelamento di ovociti immaturi.
LA VITRIFICAZIONE DI OVOCITI NELLE DONNE AFFETTE DA TUMORE MAMMARIO
I dati esistenti in Letteratura hanno dimostrato che le tecniche descritte possono essere applicate in modo sicuro anche in donne affette da cancro della mammella, persino nei casi ormonosensibili, grazie a protocolli ad hoc volti al mantenimento di un basso livello di estrogeni.
Il protocollo più diffuso per la stimolazione ovarica controllata in pazienti affette da tumore mammario prevede l’aggiunta, rispetto ai protocolli convenzionali, di un inibitore dell’aromatasi o di un modulatore selettivo del recettore degli estrogeni (SERM) a partire dal 2°-3° giorno di ciclo mestruale, con lo scopo di mantenere i livelli di estrogeni sotto una soglia di sicurezza. Dopo 2-3 giorni, viene aggiunta la gonadotropina per stimolare la crescita dei follicoli ovarici. Quando ecograficamente vengono individuati follicoli di medie dimensioni ed i livelli di estrogeni nel sangue raggiungono un determinato valore, si somministra un antagonista del GnRH per prevenire il picco prematuro di LH (e quindi l’ovulazione spontanea). Una volta raggiunta una dimensione follicolare adeguata (circa 20mm), è il momento di indurre l’ovulazione (trigger) con agonisti del GnRH, 34-36 ore prima di procedere al prelievo ovocitario.
Mantenere i valori di estrogeni nel sangue entro determinati valori non è l’unica sfida in questa speciale categoria di pazienti, ma ad oggi sono disponibili ulteriori armi per fronteggiare altri aspetti; ad esempio, a volte la terapia proposta dall’oncologo deve essere messa in atto entro brevissimo tempo, tanto breve da non consentire quei 10-12 giorni necessari per la stimolazione: possiamo quindi intervenire in ogni fase del ciclo, con protocolli di emergenza che non ci impongono di attendere la mestruazione successiva, evitando così di ritardare l’inizio della terapia oncologica. Infine, in casi selezionati e sempre previo parere favorevole dell’oncologo, è possibile applicare protocolli Dual Stim, che consistono nell’effettuare due cicli di stimolazione e due prelievi ovocitari all’interno del medesimo ciclo mestruale, con l’obiettivo di massimizzare il numero di ovociti raccolti nel più breve tempo possibile.
Gennaio 2016-Dicembre 2023: la nostra esperienza
Tra il 2016 ed il 2023 abbiamo eseguito 670 consulenze totali (per patologia oncologica, autoimmunitaria, genetica, bassa riserva ovarica, endometriosi, social freezing o preservazione cosiddetta “volontaria”). Di queste 193 consulenze riguardanti la preservazione della fertilità in pazienti affette da tumore della mammella, che risulta essere l’indicazione più frequente a questo tipo di percorso, rappresentando il 52% delle consulenze eseguite per patologia oncologica ed il 28% del totale.
Figura 2
Delle 193 pazienti, 94 hanno deciso di procedere con il percorso di preservazione (circa la metà, dato in linea con le altre indicazioni). L’età media era di 33 anni (da un minimo di 22 ad un massimo di 40).
Il numero di ovociti raccolti è stato di 10.4 8.6 (media deviazione standard), mentre quello di ovociti maturi vitrificati è stato di 8.4 6.7, dati in linea con le altre indicazioni oncologiche (ovociti raccolti 11.0 6.8, ovociti vitrificati 9.1 5.4) [Figura 3].
Figura 3
Come riscontrato anche in Letteratura, nella nostra esperienza il numero di ovociti diminuiva con l’aumentare dell’età in modo statisticamente significativo, passando dai 13.3 ovociti totali raccolti in media nelle donne tra i 21 ed i 25 anni ai 6.9 ovociti nelle donne sopra i 35 anni
Figura 4
Conclusione
La preservazione della fertilità rappresenta un grande contributo nella gestione corretta delle giovani donne che si trovano ad affrontare una patologia oncologica in età riproduttiva, anche per i tumori ormonosensibili.
Una consulenza sulla preservazione della fertilità può essere utile anche dopo la chemioterapia: attraverso dei semplici esami del sangue ed un’ecografia è possibile stimare la riserva ovarica residua e valutare il tasso di successo della procedura. In alcuni casi, questa opzione può essere altamente vantaggiosa, tutelando la possibilità di avere figli per quelle pazienti che, per svariati motivi, non erano state indirizzate al percorso prima delle cure oncologiche.
Inoltre, in casi selezionati e sempre con il parere favorevole dell’oncologo, può essere indicato applicare i protocolli Dual Stim per eseguire due cicli consecutivi di stimolazione, con l’obiettivo di ottenere almeno quei 10 ovociti che ci consentono di aumentare le probabilità di successo.
La preservazione della fertilità è un percorso che può e deve essere altamente personalizzato e che richiede il coinvolgimento di diverse professionalità. Tramite un approccio integrato e con l’intento di un take care globale, è volto a tutelare in primis la salute della donna dal punto di vista oncologico, ma anche dal punto di vista riproduttivo e psicologico, offrendo una luce di speranza non solo nel sopravvivere alla malattia, ma anche nel mantenere viva la possibilità di una futura maternità.
Come afferire all’ambulatorio di Preservazione della Fertilità della SODc PMA di Careggi ?
Un ringraziamento speciale per il contributo alla realizzazione di tale contenuto ai seguenti colleghi: dott. Paolo Evangelisti – dott.ssa Francesca Rizzello – dott.ssa Denise De Angelis – dott.ssa Laura Badolato – dott.ssa Anna Morucchio – dott.ssa Maria Volotovskaya
Alla coordinatrice Eleonora Pampaloni alle ostetriche e infermiere del suo staff tra cui Caterina Marinari e Valentina Basile
Allo staff dei biologi che cura la preservazione Dott.ssa Patrizia Falcone – Dott.ssa Rossella Fucci – Dott.ssa Arianna Marcellino – Dott. Attilio Anastasi – Dott.ssa Silvia Benasciutti