Intervista ad Andrea Vannucci, docente di Programmazione, Organizzazione e Gestione delle aziende sanitarie Dism dell’Università di Siena
Liste d’attesa, a che punto siamo? Il ministro Schillaci accusa la sanità toscana di essere in grave ritardo, il Governatore Giani parla di Toscana come di regione virtuosa, per investimenti e impegno, nello smaltire le liste d’attesa….
Il presidente della Toscana, in polemica con il Ministro della Salute ed il governo, parlando della questione del finanziamento del Servizio sanitario pubblico, ha aperto uno scontro di campo affermando “Ci sono due scuole di pensiero sulla sanità: da una parte c’è chi a Roma pensa, riducendo le spese sanitarie dal 7% al 6,3% sul Pil, che tanto ci penserà qualche clinica privata. E c’è l’altra scuola di pensiero, di cui la Toscana è avanguardia, che invece si sforza, crea risorse anche al di là di quello che viene dato dal governo per rendere forte e competitiva la sanità pubblica territoriale e ospedaliera”. Al di là dell’argomento del contendere, questo è un classico esempio degli imperfetti equilibri tra potere centrale ed autonomie locali. Chi decide le politiche deve rispondere ai cittadini elettori (ammesso che questi ultimi non spariscano ulteriormente, ma questa è un’altra questione) e “metterci la faccia”. Così, ad esempio, il governo della Toscana ha deciso che, per non tagliare prestazioni e servizi del Servizio sanitario regionale avrebbe aumentato l’addizionale Irpef. Tra breve gli elettori si esprimeranno manifestando il loro accordo su questa decisione oppure la loro contrarietà, magari chiedendo ragione per quale motivo non si è potuto, o saputo, o voluto lavorare sull’efficientamento del sistema. Questo è un esempio di una sana dialettica democratica che ricordiamo, però, ha bisogno di una rendicontazione istituzionale esauriente ed accessibile per tutti i cittadini.
C’è il rischio che le persone rinuncino anche alle cure per le difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari?
La risposta sembra ovvia, ma invece non è così semplice. Le conseguenze della mancanza di investimenti in sanità stanno determinando una pressione su medici e infermieri che rende più difficile garantire cure adeguate. I tempi d’attesa per le prestazioni ambulatoriali sono una conseguenza anche di ciò, ma non solo. Si afferma che tante persone, 4,5 milioni, i cittadini stimati, rinunciano alle cure perché prive dei mezzi necessari, per problemi di offerta o difficoltà a raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. Queste affermazioni possono essere vere come no perché noi, in realtà, non disponiamo di dati sanitari di qualità sufficiente per saperlo in modo certo. Non voglio dire, badi bene, che il problema non esiste, tutt’altro. Ma se non se ne definisce la dimensione oggettiva è improbabile saperlo correggere. Va poi sottolineata la differenza che esiste tra fare un esame ed essere curati. Ad un esame diagnostico, o ad una visita specialistica, non necessariamente segue una cura, e il tempo di attesa per visite o esami non necessariamente coincide con una rinuncia ad essa. È però altrettanto vero che un ritardo può avere conseguenze sulla tempestività e sull’efficacia del trattamento. Dobbiamo conoscere bene questi aspetti perché fino ad oggi gli effetti dei tempi d’attesa, in termini di salute, sono presunti ma non conosciuti con certezza.
Sulle liste d’attesa quanto pesa l’appropriatezza di visite ed esami?
Pesa tanto nella realtà ma è un argomento ancora troppo trascurato, forse perché richiede interventi e scelte che non sono facili, e anche non gradite ad alcuni. È troppo più semplice denunciare il sottofinanziamento (che esiste), che ragionare sull’efficientamento del sistema basato su una maggiore appropriatezza delle indicazioni e delle azioni. Appropriatezza, lo ricordo, significa sostanzialmente fare la cosa giusta, al momento giusto, alla persona giusta. Gli avversari dell’appropriatezza sono l’ignoranza, la cosiddetta medicina difensiva (cioè prescrivere per non incorrere in contenziosi e cause legali), gli atteggiamenti consumistici e la mancata distinzione tra le aspettative, sia pur legittime e i bisogni reali. Su questi temi quello di cui abbiamo bisogno è un serio approfondimento, usando validi metodi scientifici, mentre, invece, gli ormai numerosi difensori autonominati del Servizio Sanitario Nazionale, le parti politiche, le forze sindacali, gli ordini professionali si limitano sostanzialmente alla loro parte in commedia.