Maurizio Dal Maso, Membro dell’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute, Roma.
Casualmente ho avuto modo di leggere in sequenza due articoli che mi hanno fatto capire quanto sia ormai impossibile bloccare il lento quanto non governato (ingovernabile?) decadimento del nostro SSN/SSR per l’oggettiva impossibilità di riformarlo in tempi certi e a costi sostenibili per tutto il nostro Paese. Il primo articolo, scritto da un medico, era intitolato “Subito la riforma del Sistema sanitario” (https://www.sanita33.it/politica-sanitaria/4614/subito-la-riforma-del-sistema-sanitario.html); mentre il secondo, apparso sul numero 48 di Lancet Regional Health, è intitolato “The Italian health data system is broken” (https://www.thelancet.com/journals/lanepe/article/PIIS2666-7762(24)00375-2/fulltext). Il primo concludeva con una considerazione che spiegava con chiarezza il nodo politico della mancata riforma del SSN “…c’è un però: i risultati non si vedrebbero a breve, non cambierebbero le sorti elettorali nei prossimi mesi, ma sicuramente salverebbero vite umane oggi destinate ad un ingiusto destino e garantirebbero una qualità della vita che i nostri anziani meritano!” Nel secondo , invece, venivano elencate le diverse concause della mancata riforma ovvero l’insieme di aspetti tecnici, professionali ed organizzativi non governati da decenni che hanno portato a definire non il nostro SSN “rotto”, come non correttamente è stato riportato da diversi media, ma la sua architrave, ovvero il sistema informatico/informativo cosa che, nel 2025, è come ammettere che il nostro Paese ha perso anche l’ultimo treno perché i dati e la loro gestione sono “il petrolio” del nostro secolo, soprattutto nel mondo sanitario, mentre oggi siamo nella condizione che “… solo il 42% dei clinici ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione elettronica dei dati attivo in tutti i reparti”. Tralascio ogni altra considerazione e invito tutti alla lettura di entrambi questi brevi articoli per farsi un’idea personale di quanto, ormai, la questione di un nuovo e “aggiornato” SSN sia stabilmente fuori controllo e, temo, anche fuori agenda. Da anni, tutti i giorni, stakeholders diversi propongono soluzioni taumaturgiche che hanno tutte il problema di essere inattuabili perché specifiche, settoriali ovvero di una specifica area o professione o lobby, mentre servirebbe una risposta corale, integrata multispecialistica e multidisciplinare con una visione politica globale di sistema per realizzare una riforma vera e profonda che porti alla riscrittura delle regole e dei modelli di funzionamento e finanziamento del SSN. La-…asz< medicina oggi permette di realizzare attività o prestazioni che nel 1978 non erano nemmeno ipotizzabili (robotica, intelligenza artificiale, genomica, ….) e quindi pensare di usarle al meglio nell’interesse di tutti a costi sostenibili utilizzando modelli organizzativi e norme contrattuali o procedurali che, anche se riviste e integrate negli anni, derivano dalla Legge 833/78 è certamente una cosa assurda e nei fatti improponibile. Questa è l’essenza del problema. La risposta vera sarebbe realizzare quello che Eric Topol chiama la “distruzione creativa della medicina” ovvero come la rivoluzione digitale potrebbe creare una migliore assistenza sanitaria smantellando pratiche sanitarie obsolete e migliorando la cura dei pazienti, ovvero come l’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe rendere nuovamente umana la sanità nel ripristinare l’elemento umano nell’assistenza sanitaria migliorando l’efficienza e la precisione. Queste innovazioni sono definite “disruptive”. L’ espressione “disruptive innovation” appare per la prima volta nel 1995 sull’Harvard Business Review. La traduzione del termine “disruptive” è “dirompente, devastante, distruttivo” e fa riferimento a tutte quelle innovazioni capaci di rivoluzionare un modello di business preesistente ridefinendo i confini, le azioni e i tempi, stravolgendo il modo in cui gli utenti sono abituati a utilizzare prodotti e/o servizi. Quindi significherebbe rivoluzionare il funzionamento di un mercato o settore (SSN) arrecando “potenziali” danni (opportunità ?) alle aziende consolidate preesistenti (SSR) ma portando grandi benefici, da tanti anni attesi, agli utilizzatori finali ovvero i cittadini/utenti/pazienti. Tutto ciò spiega il “nodo politico “della mancata riforma del SSN, come correttamente descritto dal collega Paolo Russo.
Il “nodo tecnico” deriverebbe, invece, dalla impossibilità di avere un mandato politico unico e forte (Sponsor) per realizzare questo progetto di cambiamento (Project management) con un regista (Project manager) adeguato. Infatti, l’attuale assetto legislativo dà ampia autonomia alla Regioni nella gestione dei SSR e quindi, di fatto, rende impossibile ogni tentativo di riforma delle regole dell’intero SSN. Ma se si volesse provare a realizzare questo progetto si potrebbero definire i criteri comuni su cui ogni Regione dovrebbe, nel pieno della sua autonomia, operare e cambiare? Temo che anche in questo caso non si riuscirebbe nell’intento anche riproponendo, in una nuova e più attuale declinazione, gli stessi punti cardine della Legge 833/78 ovvero l’equità, l’universalità, l’uguaglianza, la partecipazione e la solidarietà. La realtà sanitaria e socio-sanitaria esistente, quella che vivono tutti i giorni i cittadini italiani dopo i primi 47 anni di SSN/SSR, ha raggiunto situazioni così profondamente diverse fra Regione e Regione che renderebbe vano e oltre modo dispendioso, al limite del fallimento, ogni tentativo di cambiamento. Parlare oggi di equità significherebbe dire che non si può tollerare il fatto che 1 cittadino su 2 dichiara che dovendo fare un esame diagnostico o una visita specialistica non cerchi nemmeno di prenotarla nel SSN. Oppure che si continui ad accettare che il Servizio sanitario fornisca risposte uguali a bisogni diversi data l’incapacità “cronica” di decodificare i nuovi bisogni complessi e sempre più di tipo socio-sanitario. A parole da anni tutti, nessuno escluso, citano la necessità di abbattere i mitici “silos” organizzativi e professionali che infatti sono esattamente gli stessi con le doverose e necessarie modifiche di facciata esistenti dal 1978. Cito, a semplice titolo esemplificativo, uno di questi che si potrebbe provare ad aggredire in tempi ragionevoli, ovvero quello della Long Term Care (LTC) parametro di cura molto attuale e sempre più al centro dell’attenzione non solo dei cittadini (www.welforum.it ). Oggi la spesa pubblica include tre componenti: l’indennità di accompagnamento (livello nazionale), la spesa sanitaria per LTC (livello regionale) e gli interventi socio-assistenziali (livello comunale). Quindi troviamo tre interlocutori diversi (INPS, Regioni e Comuni), tre soggetti diversi con procedure interne diverse, regole amministrative e contrattuali diverse, sviluppi di carriera diversi, sistemi premianti diversi, che dovrebbero miracolosamente essere in grado di coordinarsi per erogare in modo ottimale ed unitario “quella prestazione”, efficace ed efficiente che il cittadino si aspetta. In effetti lui si aspetterebbe da anni una risposta unica ed unitaria al suo bisogno che è unico ed unitario, ma fino a quando il SSN/SSR manterrà questo assetto e frazionerà i budget sui diversi erogatori non potrà mai fornire il servizio migliore in termini di efficacia ed efficienza al costo minore. Potremmo provare a costruire un coordinamento operativo più stretto fra i tre diversi livelli, provare a costruire un settore unitario con modelli di intervento unici come regole e budget, che risulterebbero certamente più efficaci, avendo il coraggio di realizzare nuovi assetti organizzativi, forse arrivare anche ad un nuovo modello procedurale unitario di intervento ma poi, inesorabilmente, ci troveremmo davanti al problema di come valutare i fabbisogni standard per le coperture finanziarie sui vari livelli che siano in linea con i LEA, ovvero i futuri LEPS e a quel punto tutto si bloccherebbe cosi come è stato in tantissimi altri casi, basti ricordare il recente “stop and go” del nuovo nomenclatore atteso da 28 anni, quello per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e da 25 anni quello per l’assistenza protesica. Ancora, sono almeno 30 anni che studi clinici segnalano l’impossibilità di accettare come outcome clinico (e finanziario) quello che oggi registriamo nei diversi Sistemi sanitari regionali con i tassi di variabilità attuali. La variabilità (clinica, organizzativa e dei flussi) in medicina è fisiologica ma oltre un certo livello diventa patologica, non più correlata ai bisogni e alle necessità dei pazienti ma solo alle esigenze dei tanti e diversi erogatori. Questo fatto è legato anche al concetto della Non Qualità, ovvero “il fare bene le cose inutili” che consuma in media il 10% delle risorse (umane, materiali, finanziarie e tecnologiche) del SSN/SSR senza produrre alcun vantaggio di salute per i pazienti. Potremmo citare il dato della eccessiva migrazione Sud-Nord dei pazienti in cerca di cure e non solo per l’altro prezzo economico e sociale che comporta, o il fatto che la spesa out of pocket, stabile da almeno 20 anni attorno al 20% della spesa complessiva, sia pagata direttamente dalle famiglie e non da mutue e assicurazioni e serva nell’80% dei casi ad “acquistare” prestazioni già offerte, quindi finanziate dal SSN/SSR, generando un inaccettabile condizione di iniquità dovuta allo squilibrio in accesso al servizio sanitario dove solo chi,..ù
+ paga due volte lo stesso servizio (prima con la fiscalità generale e poi con il pagamento diretto) ottiene quello che vuole, quando vuole e dove vuole. Ecco dunque che la sintesi conclusiva di quanto scritto ci porta alla domanda principale da cui tutto parte e a cui tutto ritorna: sappiamo cosa fare (diagnosi), sappiamo come farlo (terapia) e abbiamo le competenze e le risorse per farlo, ma esistono oggi in Italia le condizioni politiche, istituzionali, sociali, culturali, professionali per scrivere in modo unitario e coordinato la nuova Legge di Riforma complessiva del Servizio Sanitario Nazionale?