Il recente trial PRECISION (Dual endothelin antagonist aprocitentan for resistant hypertension), pubblicato alcune settimane fa su Lancet, ha valutato l’efficacia di aprocitentan – un antagonista duale del recettore dell’endotelina – nel trattamento di pazienti con ipertensione arteriosa resistente. Si è trattato di uno studio di fase 3 multicentrico, in cieco, randomizzato, a gruppi paralleli, condotto in ospedali o centri di ricerca in Europa, Nord America, Asia e Australia. Lo studio ha incluso pazienti con ipertensione arteriosa resistente, definita come una pressione arteriosa (PA) sistolica in posizione seduta ≥140 mm Hg nonostante l’assunzione di una terapia di base composta da tre farmaci antipertensivi, incluso un diuretico.
Lo studio era suddiviso in tre parti sequenziali:
- nella prima parte, della durata di 4 settimane, in doppio cieco, randomizzata, controllata con placebo, i pazienti hanno ricevuto aprocitentan 12.5 mg/die, aprocitentan 25 mg/die o placebo in rapporto 1:1:1;
- nella seconda parte, della durata di 32 settimane, in singolo cieco, tutti i pazienti hanno ricevuto aprocitentan 25 mg/die;
- nella terza parte, della durata di 12 settimane, ancora in doppio cieco, randomizzata, controllata con placebo, i pazienti sono stati nuovamente randomizzati ad aprocitentan 25 mg/die o placebo con un rapporto 1:1.
L’endpoint primario, finalizzato a valutare l’efficacia dei due dosaggi del farmaco rispetto al placebo, era la variazione della PA sistolica “office” nei tre gruppi durante le 4 settimane della prima parte dello studio (dal tempo zero alla fine della quarta settimana di terapia). Il principale endpoint secondario, finalizzato a valutare gli effetti della sospensione del farmaco, era la corrispondente variazione durante le prime 4 settimane della terza parte dello studio (dalla fine della settimana 36, momento in cui metà dei pazienti aveva sospeso il farmaco continuando con il placebo, alla fine della settimana 40). Altri endpoints secondari includevano le variazioni della pressione arteriosa diastolica, variazioni pressorie valutate con monitoraggio ambulatoriale nelle 24 ore ed ulteriori cambiamenti pressori che coprivano l’intera durata della somministrazione del farmaco.
Dei 730 pazienti randomizzati, 704 (96%) hanno completato la prima parte dello studio. In questa popolazione, 613 (87%) hanno completato la seconda parte e, di questi, 577 (94%) hanno completato la terza parte. Nella prima parte dello studio, la variazione della pressione arteriosa sistolica a 4 settimane rispetto al placebo è stata di –3.8 mmHg (p=0.0042) nel gruppo che assumeva aprocitentan 12.5 mg e di –3.7 mmHg (p=0.0046) nel gruppo che assumeva aprocitentan 25 mg, rispettivamente. Le corrispondenti differenze ottenute al monitoraggio ambulatoriale nelle 24 ore erano –4.2 mm Hg e –5.9 mm Hg. Nella terza parte dello studio, dopo 4 settimane di sospensione nel gruppo placebo, la PA sistolica è aumentata di 5.8 mmHg (p<0.0001) rispetto al gruppo trattato. L’evento avverso più frequente è stato l’edema da lieve a moderato o la ritenzione idrica, verificatosi nel 9%, 18% e 2% dei gruppi trattati con aprocitentan 12,5 mg, aprocitentan 25 mg e placebo, rispettivamente. Tale evento ha portato all’interruzione della terapia in 7 pazienti trattati con aprocitentan.
Le conclusioni dello studio suggeriscono che, nei pazienti con ipertensione arteriosa resistente, aprocitentan sia superiore al placebo nell’abbassare la PA sistolica dopo 4 settimane di terapia e mostri un effetto ancora significativo dopo 40 settimane di terapia.
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L’approccio iniziale alla terapia antiipertensiva secondo l’algoritmo ESC. L’attuale approccio terapeutico consigliato dalle linee guida ESC 2018 per il trattamento dell’ipertensione arteriosa è mostrato in Figura 1. L’algoritmo prevede, come terapia iniziale, la combinazione di due farmaci antiipertensivi, possibilmente da assumere come singola compressa, sottolineando che l’opzione della monoterapia dovrebbe essere considerata solo in pazienti con ipertensione lieve a basso rischio oppure in pazienti anziani o fragili (classe I). Nell’ipertensione non complicata, le combinazioni da preferire includono un bloccante del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitore o sartano) associato ad un calcioantagonista o ad un diuretico (classe I). è comunque possibile valutare anche altre combinazioni, particolarmente in presenza di specifiche condizioni cliniche (es. betabloccanti in pazienti con cardiopatia ischemica o scompenso cardiaco).
Se la pressione non risulta controllata con la duplice terapia, è necessario passare ad una combinazione di tre farmaci, tipicamente un bloccante del sistema renina-angiotensina, un calcioantagonista e un diuretico tiazidico, anche in questo caso possibilmente da assumere come singola compressa (classe I).
L’ipertensione resistente. Se la pressione continua a non essere controllata neanche con la triplice terapia, si configura il quadro dell’ipertensione resistente. Più precisamente, secondo le linee guida ESC, l’ipertensione è definita resistente quando coesistono le seguenti tre condizioni:
- nonostante il trattamento con triplice terapia antiipertensiva, non si riesce ad abbassare la PA sistolica a valori <140 mmHg e/o la PA diastolica a valori <90 mmHg;
- l’inadeguato controllo pressorio è confermato dal monitoraggio ambulatoriale oppure dal monitoraggio domiciliare;
- sono state escluse la cosiddetta ipertensione pseudo-resistente (spesso legata a mancata aderenza alla terapia o ad ipertensione da camice bianco) e l’ipertensione secondaria.
Applicando la definizione ESC, l’effettiva prevalenza di ipertensione resistente risulta relativamente bassa, probabilmente inferiore al 10% del totale dei pazienti trattati. Sebbene infrequente, si tratta tuttavia di una condizione clinicamente rilevante, che aumenta il rischio di eventi cardiovascolari, insufficienza renale e danno d’organo da ipertensione. Quando l’ipertensione resistente è confermata, oltre alla necessità di porre massima attenzione ai provvedimenti che riguardano lo stile di vita (es. restrizione del sodio nella dieta), è necessario seguire alcune strategie (classe I):
- incrementare il dosaggio del diuretico (se ancora non massimale), oppure passare a tiazidici più potenti come indapamide o clortalidone;
- passare a un diuretico dell’ansa (es. furosemide) in caso di eGFR<30 ml/min;
- inserire un quarto farmaco, in primo luogo lo spironolattone a basso dosaggio (25-50 mg/die). Se questo è controindicato o mal tollerato (es. per effetti antiandrogeni come la ginecomastia), è possibile considerare altri diuretici (eplerenone, amiloride). Per spironolattone, eplerenone e amiloride è comunque necessaria cautela nei pazienti con disfunzione renale e/o iperpotassiemia; il loro uso nell’ipertensione resistente dovrebbe essere ristretto ai pazienti con eGFR ≥45 ml/min e potassiemia ≤4.5 mmol/L. Ulteriori alternative, quando lo spironolattone è controindicato o mal tollerato, sono l’inserimento di un betabloccante (es. bisoprololo 5-10 mg/die) o un alfa-bloccante (es. doxazosin 4-8 mg/die). L’utilizzo di altri farmaci, tra cui agenti ad azione centrale (es. clonidina), vasodilatatori diretti (es. minoxidil, idralazina) e inibitori della renina (aliskiren) è riservato a casi selezionati.
La scelta dello spironolattone come farmaco di prima scelta nell’ipertensione resistente si basa primariamente sui risultati dello studio PATHWAY-2, nel quale l’aggiunta del diuretico risparmiatore di potassio è risultata superiore a bisoprololo 5-10 mg/die, doxazosin 4-8 mg/die e placebo nel ridurre i valori pressori in pazienti con ipertensione resistente già in triplice terapia antiipertensiva. Va tuttavia osservato che lo spironolattone, così come peraltro anche l’amiloride e l’eplerenone, estrinseca la sua azione farmacologica ancora all’interno del sistema renina-angiotensina-aldosterone: da qui l’interesse verso possibili approcci alternativi, rivolti a target terapeutici diversi.
Il sistema delle endoteline. L’idea di utilizzare antagonisti dell’endotelina nel trattamento dell’ipertensione resistente risale ormai a vari anni fa. L’endotelina-1 (ET-1) è un peptide di 21 aminoacidi con potente effetto vasocostrittore, isolato per la prima volta da Yanagisawa nel 1988. Dopo la sua scoperta, fu presto compreso che non si trattava semplicemente di un vasocostrittore, ma piuttosto di un peptide multifunzionale che agisce in modo paracrino e autocrino per regolare tono vascolare, proliferazione cellulare, fibrosi, infiammazione e secrezione di citochine, catecolamine e aldosterone, influenzando in questo modo molti processi cellulari. L’ET-1 viene sintetizzata in massima parte dall’endotelio e, in misura inferiore, dal muscolo liscio, dall’intestino e dalle ghiandole surrenali, oltre che nel rene e nel cervello. Come schematizzato in Figura 2, la sintesi avviene a partire da una molecola precursore, la preproendotelina, che viene prima trasformata in “big-endotelina” e poi, grazie all’enzima di conversione dell’endotelina, in ET-1. Oltre alla principale isoforma, esistono anche l’endotelina-2 e l’endotelina-3, sintetizzati in altri distretti corporei. La ET-1 riveste un ruolo chiave nell’omeostasi vascolare attraverso l’interazione con due tipi di recettori, con trasduzione del segnale mediata da una proteina G e conseguente produzione di inositolo trifosfato. L’interazione con i recettori ETA espressi sulle cellule muscolari lisce della parete vascolari produce un potente effetto di vasocostrizione e di incremento della proliferazione cellulare. Ulteriori effetti includono attivazione piastrinica, insulinoresistenza, generazione di specie reattive dell’ossigeno, effetti sfavorevoli a livello renale come fibrosi tubulo-interstiziale e vari altri. Sebbene anche i recettori ETB presenti nelle cellule muscolari lisce siano responsabili di effetti simili, l’interazione della ET-1 con i recettori ETB presenti nell’endotelio vascolare comporta invece un effetto di vasodilatazione e di riduzione della proliferazione cellulare, in massima parte mediante la produzione di ossido nitrico e prostacicline. I recettori ETB dell’endotelio sono coinvolti anche nella clearance della ET-1 dalla circolazione.
Il potenziale ruolo degli antagonisti dell’endotelina. Attualmente, gli antagonisti dell’ET-1 sono approvati per l’uso clinico in pazienti con ipertensione arteriosa polmonare. Al contrario, il loro possibile utilizzo nel campo dell’ipertensione arteriosa sistemica è ancora oggetto di studio. Il fatto che l’ipertensione resistente sia scarsamente responsiva alla terapia con farmaci antiipertensivi di diverse classi in combinazione potrebbe suggerire che tale resistenza sia dovuta, almeno in parte, ad un meccanismo mediato dalla ET-1. Tale ipotesi è supportata dall’osservazione che questa forma di ipertensione è spesso sensibile alle variazioni di introito di sale nella dieta e dal fatto che il sistema dell’ET-1 è significativamente stimolato dall’assunzione di sale. Inoltre, il sistema dell’ET-1 è spesso attivato nei soggetti a rischio di sviluppare ipertensione resistente, come gli afroamericani o i pazienti con obesità o apnee ostruttive del sonno.
Prima di aprocitentan, alcuni studi hanno mostrato la potenziale efficacia di darusentan, un antagonista dell’endotelina selettivo per il recettore ETA, in pazienti con ipertensione arteriosa resistente. Il darusentan è tuttavia stato abbandonato dopo che, nel 2010, uno studio confermativo non è riuscito a dimostrare una riduzione della PA sistolica “office” (nonostante una riduzione della PA valutata con monitoraggio ambulatoriale), peraltro a fronte di una significativa percentuale di effetti collaterali legati a edema periferico e ritenzione idrica. Nell’ottica di ottenere una maggiore efficacia ed un miglior profilo di sicurezza, in particolare per quanto riguarda il rischio di ritenzione idrica, la ricerca si è successivamente orientata in prevalenza verso lo studio degli antagonisti duali del recettore ETA/ETB. Il bosentan (un antagonista duale in grado di inibire entrambi i recettori ETA che gli ETB, il primo ad essere approvato per un utilizzo clinico nel trattamento dell’ipertensione polmonare) ha dimostrato efficacia nell’abbassare anche i livelli di PA sistemica, ma la sua utilità clinica in pazienti con ipertensione arteriosa resistente non è stata validata in un trial randomizzato controllato.
Il trial PRECISION ed il potenziale ruolo di aprocitentan. Aprocitentan è un antagonista duale dell’endotelina e rappresenta la forma metabolicamente attiva di macitentan, un antagonista precedentemente approvato per il trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare. Precedenti studi hanno mostrato che si tratta di una molecola ben tollerata in un ampio range di dosi. Il suo profilo farmacocinetico mostra un’emivita di 44 ore, che lo rende potenzialmente adatto ad una singola somministrazione giornaliera. Il trial PRECISION suggerisce che aprocitentan, somministrato a dosaggi di 12.5 mg/die o 25 mg/die, potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica in pazienti con ipertensione arteriosa resistente già in triplice terapia. Rispetto all’approccio standard con spironolattone, aprocitentan non comporta un significativo aumento del rischio di iperkaliemia. Inoltre, sebbene sia stata rilevata – come atteso – una certa percentuale di pazienti con effetti collaterali legati a edema e ritenzione idrica, va osservato che il numero di pazienti che nel corso dello studio è stato costretto ad interrompere la terapia è stato relativamente esiguo. Anche se sono necessari ulteriori trials per validare l’efficacia e, soprattutto, la tollerabilità di aprocitentan in pazienti con ipertensione arteriosa resistente, il trial PRECISION ha il merito di fornire per la prima volta un’evidenza clinica di possibile utilizzo pratico in questi pazienti.
Take home message
In pazienti con ipertensione arteriosa resistente già trattati con triplice terapia antiipertensiva inclusiva di diuretico, l’aggiunta di aprocitentan, un antagonista duale del recettore dell’endotelina, potrebbe rappresentare in un prossimo futuro un valido approccio terapeutico.
Per bibliografia: piercarlo.ballo@uslcentro.toscana.it