Massimo Martelloni Presidente Emerito Società Scientifica dei Medici Legali delle Aziende Sanitarie, Presidente della Commissione di Bioetica dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri di Firenze.
Tribunale di Trento, sez. lavoro, Sent. n. 102 del 30.8.2022
La recente sentenza del Tribunale di Trento ha fissato magistralmente i criteri attraverso i quali riconoscere come infortunio sul lavoro la morte di un medico non assicurato INAIL a seguito di contrazione di infezione da COVID-19 e successivo decesso.
Il fatto riguardava una collega di Continuità assistenziale che valorosamente in piena pandemia prestava il suo servizio con visite ambulatoriali e domiciliari nel marzo 2020.
Un paziente visitato il 14 marzo 2020 risultava positivo in data 15/3/2020, mentre la collega risultava positiva in data 18 marzo 2020 e decedeva il 20 marzo 2020.
Successivamente si apriva una vicenda giudiziaria in sede di lavoro che vedeva scontrarsi l’assicurazione e gli eredi in tema infortunio sul lavoro non riconosciuto dall’assicurazione, a differenza di quanto stava succedendo in sede INAIL per i medici dipendenti pubblici.
Nella sentenza il giudice affermava quanto segue in merito al contagio:
-“La certezza che la de cuius del ricorrente venne a contatto con un paziente affetto da COVID 19 e che a distanza di quattro giorni ella risultò positiva al medesimo virus costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti del tutto idonei a fondare la presunzione che il contagio sia avvenuto nello svolgimento dell’attività lavorativa di medico di continuità assistenziale”.
Precedentemente la Suprema Corte (Cass. 28.2.2017, n. 19485, Cass. 26.6.2008, n. 17535; Cass. 9.8.2007, n. 17457) aveva affermato che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto A noto, è probabile che si sia verificato il fatto B.
L’inferenza probabilistica deve condurre alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non deve lasciare spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzo diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti.
La concordanza dei fatti favorisce una presunzione ammissibile.
Inoltre nella sentenza emerge sconfitta la tesi assicurativa , definita apodittica, secondo la quale “il tempo di incubazione del virus prima di manifestare la positività va da circa 5 giorni a un massimo di 14”. La verifica di tale assunto sugli Annals of Internal Medecine veniva smentito:
-“Il periodo di incubazione del virus va dalle 48-72 ore circa fino a due settimane. Da un report degli Annals of Internal Medicine, datato 5 maggio 2020, per COVID-19 risulta un tempo di incubazione medio di 4-5 giorni e una permanenza dei sintomi di circa 11 giorni”.
L’Assicurazione aveva inoltre sollevato un’altra questione ovvero se il decesso cagionato da Covid 19 rientrasse nella fattispecie di “morte in conseguenza di infortunio” e, perciò, se il contagio da Covid 19 costituisse un infortunio.
Nella “Sezione Infortuni” della polizza, tra le “definizioni particolari relative a tutti i settori”, viene ricompresa anche quella di “infortunio”, che consiste nell’ “evento occorso all’assicurato dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche obiettivamente constatabili, che abbiano per conseguenza l’effettivo impedimento per l’assicurato a prestare servizio di medicina generale…”.
Alla luce del contratto assicurativo emergeva quindi in sede giudiziaria del lavoro che:
-Il contagio per effetto del contatto con il virus Covid 19 costituiva certamente una causa esterna all’organismo;
-Il contagio era avvenuto in modo certamente fortuita, non potendosi ritenere che il medico ovvero la collega sia entrata intenzionalmente a contatto con il virus.
Ben più complessa si presentava la valutazione circa la sussistenza nella causa, (sicuramente esterna e fortuita), del requisito della violenza.
Il ragionamento giuridico si è pertanto spostato sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, gestita dall’I.N.A.I.L.
In tale ambito l’infortunio, affinché le relative conseguenze siano indennizzabili, deve essere avvenuto “per causa violenta”,come da art. 2 d.P.R. 30.6.1965, n. 1124.
In riferimento alla applicazione di tale norma sussiste un consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. 3.9.2021, n. 23894; Cass. 28.7.2010, n. 17649; Cass. 20.6.2006, n. 14119; Cass. 26.5.2006, n. 125593;) per il quale la causa è violenta se, oltre a operare dall’esterno, agisce con rapidità ed intensità, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, mentre non sono indispensabili i requisiti della straordinarietà o accidentalità o imprevedibilità del fatto lesivo.
L’analisi fatta è partita da una questione giuridica stabilita da tempo:
-Il catalogo delle attività protette di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1.
Inoltre la dottrina ha derivato un elenco scolastico di cause violente, distinguendole in:
a) cause da energia meccanica;
b) cause da energia elettrica od elettromagnetica;
c) cause da energia atomica e nucleare;
d) cause da energia termica;
e) cause da sostanze tossiche;
f) cause di natura microbica e virale;
g) cause di natura psichica.
Come risulta da tale elenco, alcune cause comportano un rapporto binomio, diretto e personale tra fattore causale e persona del lavoratore (ad es. macchina operatrice, oggetto da sollevare nello sforzo), altre sono di carattere diffusivo, ambientale (ad es. energia elettrica, nucleare, termica, sostanze tossiche).
Un agente lesivo, pertanto, presente nell’ambiente di lavoro in modo esclusivo o in misura significativamente superiore che nell’ambiente esterno, il quale produca un abbassamento delle difese immunitarie, rientra nella nozione attuale di causa violenta.
Dal suo meccanismo d’azione, se rapido e concentrato, oppure lento, deriva poi la collocazione dell’evento tra gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali”.
Da tempo per la Suprema Corte, Cass. 12.5.2005, n. 9968; Cass. 19.1.2005, n. 977; Cass. 28.10.2004, n. 20941; Cass. 26.4.2004, n. 7808; Trib. Milano 13.4.2022; Trib. Milano, 11.2.2022, costituisce causa violenta anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico e anche quando gli effetti di tale azione si manifestino dopo un certo tempo e in difetto di una specifica causa violenta alla base dell’infezione.
L’opposizione fatta da parte assicurativa ovvero che non possa costituire infortunio la infezione da contagio da fattori microbici o virali in quanto detta riconducibilità è esclusa dalle condizioni generali dei contratti di assicurazione contro gli infortuni, che definiscono infortunio “l’evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni corporali obiettivamente constatabili” e malattia “ogni obiettiva alterazione dello stato di salute non dipendente da infortunio” è stata ritenuta dal Tribunale un assunto non convincente in quanto, considerando che la definizione di infortunio contenuta nelle condizioni generali dei contratti di assicurazione contro gli infortuni e appena ricordata coincide pressoché integralmente con quella giurisprudenziale di causa violenta:
– La causa è violenta se, oltre a operare dall’esterno, agisce con rapidità ed intensità, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, come si caratterizza la fattispecie di infortunio delineata dall’art. 2 d.P.R. 1124/1965, il quale rappresenta il substrato normativo, su cui si è formato l’orientamento della Suprema Corte che considera causa violenta integrante un infortunio anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico.
La parte assicurativa ha allora esposto una ultima tesi oppositiva ovvero che sin dal 1988
il lavoratore che avesse contratto una malattia professionale aveva diritto all’indennizzo da parte dell’Inail solo se la malattia da cui era affetto rientrava nell’elenco normativamente previsto.
In quell’epoca gli infortuni erano indennizzabili; le malattie non tabellate, no.
Di fronte a questo sbarramento normativo la giurisprudenza aveva adottato la tecnica dell’aggiramento:
– al fine di apprestare la tutela al lavoratore, ed evitare uno sbarramento oggettivamente iniquo, era stato affermato il principio secondo cui il contagio sarebbe un “infortunio sul lavoro”.
In tale ambito inoltre era intervenuta nel 1988 la Corte costituzionale che dichiarò illegittimo l’art. 38, comma 2, d.p.r. 1124/65, nella parte in cui non prevedeva che l’assicurazione contro le malattie professionali fosse obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al testo unico (Corte cost. 18 febbraio, n. 179…).
Da allora è diventato inutile “accapigliarsi a stabilire se il danno subito dal lavoratore fosse dovuto ad una malattia o ad un infortunio”.
Infine il Tribunale di Trento ha richiamato quella che ha definito la “autorevole letteratura medico-legale”:
“Il tema medico legale relativo ai contratti privati contro gli infortuni è relativamente recente e non vi è alcun dubbio che le sue radici concettuali e teoriche siano storicamente e concettualmente fondate sulla ben più ampia esperienza della tutela assicurativo-sociale degli Infortuni sul lavoro…
I concetti di “accidentalità lesiva”, di “violenza causale”, di “esteriorità causale”, prima che nell’ambito assicurativo privato (che li ha mutuati), sono stati oggetto ampio di studio, di apporto medico giuridico, di analisi dottrinaria e di fondamento applicativo della Medicina Legale nel più ampio ed antico settore della protezione assicurativa collettiva degli infortuni lavorativi…
La riprova dell’ intima connessione tra tessuto normativo ed elaborazione concettuale sulla tutela sociale degli infortuni sul lavoro e i modelli dei contratti assicurativi privati contro gli infortuni risiede nel fatto che tutte le acquisizioni analitiche e definitorie elaborate dall’analisi medico forense in tema di “infortunio” (modulate su precisi testi normativi) si sono riversate, quasi fisiologicamente, nel settore assicurativo privato e, nella concretezza della disamina medico legale, sono state applicate sistematicamente all’interpretazione degli stessi princìpi, corrispondenti ai medesimi concetti espressi nell’ambito dell’assicurazione libera. E di ciò è ulteriore conferma tutta la trattatistica Medico Legale accademica, italiana e straniera degli ultimi cinquant’anni…”.
In ordine al concetto di causa violenta, già intorno agli anni Venti del ‘900 un insigne accademico in medicina legale riteneva che: “siffatta capacità si riscontra anche in azioni che nella loro manifestazione esteriore non hanno nulla di grandioso, di grossolano, di brutale, tanto che talvolta sfugge persino il momento in cui esse investono l’organismo. Un tossico che penetrando nell’organismo in quantità minima, alla dose di pochi mgr. è capace di determinare la morte; un virus che, superate le difese poste da natura alla superficie di contatto del corpo con l’ambiente, suscita imponenti fenomeni morbosi, sono evidentemente agenti lesivi altrettanto, se non più, violenti di un trauma che discontinua o attrita i nostri tessuti: eppure nell’avvenimento per cui il tossico, il virus, giungono ad esplicare la loro azione sull’organismo non v’ha nulla di grossolanamente elettivo, nulla di violento nel significato volgare di tale aggettivo”.
In proposito si è evidenziato che: “Si tratta di analisi scientifiche molto ampie e profonde, propriamente e specificamente medico legali, che riassumono in termini inconfutabili acquisizioni della dottrina che non solo hanno informato tutti gli sviluppi successivi ed anche attualmente ne rappresentano il fondamento, ma che, ed è bene ricordarlo, hanno rappresentato il contorno tecnico e contenutistico sul quale si sono modulate anche le formulazioni dei contratti privati contro gli infortuni dal momento della loro realizzazione e della loro diffusione in Italia ed in Europa. Risulta dunque inequivocabile che la dottrina medico legale abbia costantemente considerato un’infezione virale o batterica, sulla cui trasmissione vi sia nozione delle modalità di contagio anche ambientale, ovvero non mediato da energie meccanica, un infortunio a tutti gli effetti, dotato delle caratteristiche della accidentalità, della violenza e dell’esteriorità causali”.
Quindi la Suprema Corte, allorquando, iniziò a statuire che costituisce causa violenta e integra la fattispecie di infortunio anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico – non ha affatto “inventato” alcunchè, ma si è attenuta al “tessuto scientifico e culturale derivante dalla cultura medico legale”.
Una breve riflessione sulla vicenda comunque si pone al di là della questione morale che certamente ogni lettore può sviluppare.
In tal senso è necessario come medici invitare l’ENPAM (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Medici), che riceve contributi previdenziali in tal senso, a stipulare con le Assicurazioni in esecuzione dell’obbligo scaturente dall’art. 72 co. 4 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, accordi chiari che evitino ai medici stessi o ai loro parenti sequele legali anche post-mortem del medico per affermare diritti ormai stabiliti da tempo, dove il contratto assicurativo , sostitutivo della assistenza previdenziale INAIL, interviene in fondo solo“per la copertura dei primi trenta giorni di malattia ed eventuali conseguenze economiche di lungo periodo – invalidità permanente e caso morte in conseguenza di infortunio – invalidità permanente da malattia”, con la previsione di un indennizzo di € 125.000,00 in caso di morte in conseguenza di infortunio avvenuto nel biennio precedente”.
In conclusione ricordiamo sommessamente che il sacrificio della vita da parte della collega ben vale la riaffermazione che lo Stato di Diritto va sempre sostenuto come tutela di libertà, giustizia e solidarietà e che anche un contratto non può venir meno a tali valori.
Massimo Martelloni
Per bibliografia: martellonimassimo.prof@gmail.com