Intervista a Valdo Ricca, professore ordinario di Psichiatria, dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Firenze, e direttore dell’Unità di Psichiatria Università di Firenze, AOU Careggi Teaching Hospital
Quanto i social media influenzano le abitudini alimentari, soprattutto dei più giovani?
L’influenza dei social media è particolarmente rilevante, sia riguardo all’alimentazione, sia in rapporto al modo di vivere e considerare il proprio corpo. La capacità di influencer più o meno noti e popolari di indirizzare le abitudini alimentari appare sempre più evidente, anche perché molti di loro si propongono come figure di riferimento attendibili e quindi da seguire. Questo è molto rilevante nella popolazione adolescenziale, per la quale la letteratura fornisce dati eloquenti da molti anni, ma sembra essere un fenomeno oramai diffuso anche all’età adulta, in una misura impensabile fino a pochi anni fa, peraltro in ambedue i sessi. Lo stesso fenomeno si verifica in relazione a come considerare, ed eventualmente modificare, il proprio corpo, con influencer che si propongono come modelli di salute, forza e, spesso, bellezza da seguire e cercare di imitare. Le strategie comunicative, la chiarezza del linguaggio, un modo diretto e più o meno semplice applicato all’alimentazione e al modo di gestire il proprio corpo, sono strumenti comunicativi veloci, immediati, potenti. C’è un dato epidemiologico su cui riflettere: l’incidenza e la prevalenza dei disturbi dell’alimentazione negli ultimi dieci anni è cresciuta in modo altamente significativo, e questo fenomeno, molto grave da vari punti di vista, è avvenuto parallelamente alla sempre più ampia diffusione dei social media. L’efficacia dei social media di raggiungere rapidamente ampie fasce di popolazione, a fronte di un’educazione sanitaria affidata a strumenti comunicativi tradizionali o alla figura del singolo medico, propone un confronto impari, dove la comunicazione tradizionale e il rapporto medico paziente appaiono purtroppo perdenti, o comunque assai meno potenti.
I giovani toscani hanno abitudini alimentari corrette?
Alcuni anni fa abbiamo pubblicato dei dati relativi a un campione sufficientemente rappresentativo di adolescenti dell’area fiorentina. I risultati principali sono rappresentati da una notevole preoccupazione relativamente al proprio corpo e all’alimentazione, che spesso non è vissuta come strumento per nutrirsi e ottenere gratificazione, ma come un problema. Il punto centrale è che il cibo è vissuto come potenziale fonte di insoddisfazione legata agli effetti che il cibo stesso può indurre sul corpo, principalmente in termini di eccesso ponderale e di forme corporee non accettate in modo sereno e tranquillo. Si può ritenere che il cibo sia vissuto sempre più come un problema che come fonte di nutrimento e di piacere. Tutto questo correla, chiaramente, con l’aumento della diffusione di disturbi dell’alimentazione di tipo anoressico, bulimico o “binge eating” (l’abbuffarsi) nella popolazione, che sono patologie gravi caratterizzate da una profonda insoddisfazione per il proprio corpo, e quindi dal considerare quasi inevitabilmente il cibo come un problema più che una risorsa o un piacere. I giovani toscani non si differenziano dalla media nazionale, anche perché stiamo parlando di fenomeni che riguardano decine di milioni di persone che vivono nell’emisfero nord del pianeta. Quindi la situazione locale non si discosta da quella internazionale, come è ovvio che sia considerando che i fenomeni legati al modo di vivere, considerare sé stessi, e anche il proprio corpo e l’alimentazione, sono oramai globalizzati.
Quali i benefici di una sana alimentazione?
I benefici di un’alimentazione corretta sono intuitivi. Il problema vero è che negli ultimi decenni il cibo, nei paesi caratterizzati da abbondanza alimentare, è sempre più vissuto come un problema, sia dal punto di vista qualitativo, ma soprattutto in relazione a quanto l’alimentazione influenza il corpo, le sue forme e la sua efficienza. Di conseguenza il cibo è sempre più connotato come fonte di preoccupazioni varie, e sempre meno come piacere e nutrimento. Si sono diffusi, quasi esclusivamente nei paesi occidentali, degli stili alimentari, definiti come “ortoressici”, caratterizzati dalla distinzione manichea tra cibi buoni e cattivi, salubri o insalubri, naturali o artificiali. Questi fenomeni hanno la caratteristica di considerare il cibo essenzialmente come un possibile o probabile problema da cui possono derivare altre successive complicazioni. Spesso i soggetti ortoressici sono caratterizzati da strutture di personalità di tipo fobico o ossessivo, che applicano schemi mentali più o meno rigidi e, quindi, disfunzionali a una serie di contesti, tra cui quello dell’alimentazione.
Quanto è importante affidarsi ai consigli dei medici?
La figura del medico tradizionale appare spesso perdente, in termini comunicativi, rispetto al mondo dei social, soprattutto quando si cercano risposte semplici, veloci e immediate. Tutto questo deriva anche da difficoltà, proprie del nostro lavoro, di adeguare la comunicazione, e di essere in grado di informare in modo corretto, chiaro e al tempo stesso tempestivo un gran numero di persone. Penso che la stragrande maggioranza dei nostri colleghi preferisca giustamente comunicare in modo tradizionale, spiegare, e soprattutto verificare con il paziente i risultati di certi consigli o prescrizioni, piuttosto che divulgare in pochi secondi alcuni concetti più o meno semplici, o semplicistici, senza una verifica clinica delle conseguenze di tutto ciò. Ci sono sempre più esempi di come l’autoterapia, praticata da pazienti che avevano posto delle domande a carattere medico a vari motori di ricerca o social media, ha portato a disastri clinici più o meno irreparabili. Il sapere medico non si può sintetizzare con risposte stereotipate prodotte da strumenti asettici privi di qualunque conoscenza clinica, il cui funzionamento è preordinato sulla base di algoritmi più o meno rigidi. Paradossalmente, l’avvento dei social media in medicina è un’occasione importante per valorizzare ulteriormente, qualora fosse necessario, la centralità insostituibile del medico nella cura delle persone e nella conoscenza dei molteplici fattori che intervengono nei processi di diagnosi e terapia.