Alessandro Toccafondi – SOSD Psicologia Clinica, USL Toscana Centro
Description
Le persone affette da malattie organiche croniche sono più soggette a distress e disturbi psicopatologici rispetto alla popolazione generale. Tali manifestazioni sono più comuni laddove le malattie croniche richiedano trattamenti invasivi o associati a severi effetti collaterali e implicano un cambiamento nello stile di vita quotidiano. I pazienti con Malattia Renale Cronica (MRC) soddisfano molto spesso questi requisiti. È stato inoltre evidenziato l’impatto delle reazioni psicologiche e psicopatologiche sull’efficacia dei trattamenti e sull’esito a lungo termine del trapianto renale; pertanto, negli ultimi anni, l’attenzione a questi aspetti è incrementata in ambito nefrologico. L’importanza della valutazione dei bisogni psicologici dei pazienti con insufficienza renale cronica è altresì riportata nel Piano Nazionale Cronicità, così come nelle Linee Guida di riferimento.
È possibile riconoscere nel paziente con MRC varie fasi psicologiche che vanno di pari passo al progredire della malattia, all’accesso in dialisi e al trapianto.
Pre-dialisi
Nelle prime fasi la MRC può manifestarsi in maniera asintomatica o con una sintomatologia di lieve entità. Questo può generare una discrepanza tra la diagnosi di malattia e la percezione di benessere fisico del paziente. In tal senso, la diagnosi posta dal medico non coincide con quello che il paziente avverte nel corpo generando scarsa o assente consapevolezza di malattia. Questo fenomeno può influenzare l’adesione al percorso di cure: mancata presentazione alle visite mediche, bassa adesione alla terapia farmacologica, alla dieta, ecc.
La principale paura dei pazienti in questa fase di malattia è la rapida perdita della funzionalità renale con il conseguente ingresso in dialisi. Alcuni pazienti vivono un costante stato ansioso che si intensifica in prossimità di esami e visite mediche di controllo. Le oscillazioni della creatinina si associano a sentimenti di paura, dubbi, abbattimento del tono dell’umore e ricerca di costanti rassicurazioni dal medico sul fatto che non entreranno in dialisi. In tal senso ogni visita medica è il pronunciamento della sentenza sul mantenimento o meno della loro indipendenza. Dobbiamo considerare inoltre che spesso i pazienti con MRC svolgono i controlli presso i reparti di nefrologia e dialisi. Vedere le macchine e le persone in trattamento può evocare l’immagine di sé stesso, in un futuro prossimo, attaccato alla macchina.
Dialisi
L’ingresso in dialisi rappresenta un cambiamento significativo nella vita dei pazienti. Tra i principali fattori psicologici che impattano sulla qualità di vita nel paziente dializzato rientrano: la perdita di libertà e di controllo sulla propria vita, la percezione di una maggiore vulnerabilità e fragilità fisica, la costante dipendenza dalla macchina dialitica e dallo staff sanitario, la modifica dell’immagine corporea. La dialisi e i sintomi associati alla malattia renale terminale influenzano in maniera significativa anche il piano relazionale, il ruolo all’interno della famiglia, la sfera sessuale e più in generale la vita sociale e lavorativa del paziente.
Il processo di adattamento alla dialisi e alle restrizioni indotte dalla malattia è complesso per molti pazienti. Disturbi di adattamento di tipo ansioso e depressivo sono molto comuni. Si stima che almeno il 20-30% dei pazienti in dialisi presenti una forma di disturbo depressivo. La depressione nei pazienti in dialisi è stata associata ad una ridotta aderenza alle cure, ad una peggiore prognosi e a una più alta mortalità.
La dipendenza (dalla macchina e dagli operatori sanitari), il diminuito controllo sulla propria vita e la mancanza di libertà sono i temi principali con cui si confrontano i pazienti in dialisi. Come sostiene G. Trabucco (2003): il paziente dializzato “Vive una realtà che è per molti versi paradossale, vale a dire che, per poter mantenere il più a lungo possibile la sua autonomia e la sua indipendenza, è costretto ad accettare uno stato di dipendenza ben delimitato […] Si può affermare che, quanto più egli sarà capace di accettare la dipendenza, tanto più potrà sentirsi autonomo ed indipendente”. Le sale di emodialisi costituiscono un denso ambiente relazionale. I pazienti vi trascorrono molto tempo in una stretta e costante relazione con altri pazienti, medici e infermieri. Viene di conseguenza a crearsi un clima relazionale intimo in cui si incontrano – e si scontrano – i diversi modi di reagire alla malattia e ai trattamenti, così come i tratti di personalità dei pazienti e dei sanitari. Tra pazienti e operatori col tempo si alternano, inevitabilmente, dinamiche di forte vicinanza, fiducia, riconoscenza a momenti in cui prevalgono opposizione, rabbia, delusione e distacco.
I pazienti in dialisi peritoneale conservano una maggiore indipendenza. In questo caso non è il paziente che si reca in ospedale ma è la “macchina” che entra in casa e ne diventa parte integrante. L’ingresso di dispositivi sanitari e lo svolgimento del trattamento tra le mura domestiche può essere avvertito da alcuni pazienti, e dai familiari, come un’intrusione nella sfera intima e protetta della propria casa. Per i pazienti che svolgono dialisi peritoneale automatizzata, sono comuni problemi del sonno che nella maggior parte dei casi tendono a regredire dopo una prima fase di adattamento.
Pre-trapianto
L’eleggibilità al trapianto di rene è vista dai pazienti come l’occasione per uscire dalla dipendenza dalla dialisi, riappropriarsi di una maggiore libertà e migliorare la propria qualità di vita. Per l’inserimento nella lista d’attesa da donatore deceduto i pazienti devono sottoporsi a svariati esami e visite mediche e l’intero processo richiede mesi per essere completato. È frequente che i pazienti vivano con forte apprensione questo periodo, alternando momenti di speranza, prefigurando un futuro senza dialisi, a momenti di disillusione, abbattimento del tono dell’umore e timore di non essere eleggibili al trapianto.
Le Linee Guida sulla valutazione e la gestione dei candidati al trapianto di rene KDIGO (2020) indicano che la valutazione psicosociale dovrebbe essere svolta a tutti i pazienti candidati al trapianto. Scopo primario della valutazione psicologica è identificare eventuali problematiche psicologiche che richiedono un intervento nel pre o post-trapianto. In presenza di gravi disturbi psichiatrici in atto, incluso l’abuso di sostanze, che potrebbero compromettere l’esito del trapianto, l’inserimento in lista trapianto dovrebbe essere rinviato e rivalutato solo dopo che tali disturbi siano stati efficacemente trattati.
La valutazione psicologico-psichiatrica del donatore e del ricevente è parte integrante delle procedure clinico-organizzative per il trapianto da donatore vivente. È raccomandato che almeno una parte del colloquio sia svolta individualmente con il candidato donatore in assenza del ricevente o altri membri della famiglia. Uno degli scopi principali è valutare che il consenso libero e spontaneo alla donazione non sia influenzato da fattori cognitivi, emotivi, disturbi di personalità e da dinamiche familiari-relazionali. In tal senso, uno degli obiettivi della valutazione psicologica è quello di comprendere se vi siano pressioni più o meno manifeste che possono influenzare la decisione del donatore. Sia per il ricevente che per il donatore dovrebbe essere garantito l’accesso ad un supporto psicologico nel post-trapianto.
Post-trapianto
In linea generale il paziente con MRC trapiantato presenta un miglioramento nelle varie aree di qualità di vita, associato ad una riduzione della sintomatologia ansioso-depressiva rispetto al periodo in dialisi. Nel tempo la persona è in grado di riacquistare spazi di libertà, indipendenza e maggior coinvolgimento nelle attività sociali e lavorative con un miglioramento del senso di autoefficacia. Tuttavia, la malattia, la dialisi, gli anni in lista di attesa, l’operazione e il ricovero post-trapianto sono eventi altamente stressanti che possono incidere sull’adattamento del paziente. Inoltre, i trapiantati si confrontano costantemente con il rischio di rigetto e il ritorno in dialisi. Le risposte dei pazienti sono influenzate da molti fattori psico-sociali tra cui: tratti di personalità, reattività emotiva e gestione dello stress, stile di coping prevalente, qualità delle relazioni affettive, aspettative sul post-trapianto maturate prima dell’intervento, fiducia nei sanitari, supporto sociale, ecc. I pazienti trapiantati possono inoltre sperimentare un senso di abbandono, associato a stati d’ansia, derivante dal venir meno della costante protezione fornita dall’ospedale e dai sanitari durante il periodo delle dialisi. Oltre a questi vissuti, è descritta in letteratura anche una crescita psicologica dopo il trapianto (post traumatic growth); ovvero un cambiamento positivo nel rapporto con se stessi e con gli altri, un rinnovato apprezzamento della vita, sentimenti di gratitudine e ridefinizione delle priorità e dei valori personali.