Leonardo Fei, psichiatra e psicoterapeuta
Abstract
La Psichiatria di Consultazione e di Collegamento (liaison) viene descritta nell’evoluzione dall’ospedale per aree specialistiche all’ospedale per intensità di cure. Ne vengono descritte le principali criticità e come queste si ripropongano, accentuate, nell’assetto ospedaliero attuale. Viene proposto infine un modello di liaison coerente con obiettivi e prassi dell’ospedale per intensità di cure.
Ho iniziato il mio lavoro di psichiatra nell’ospedale organizzato per aree specialistiche per approdare all’ ‘ospedale per intensità di cura’, così come la mia formazione si è evoluta dalla ‘medicina basata sull’esperienza’ alla ‘medicina basata sulle evidenze’.
Come tanti discepoli del compianto Vittorio Lampronti (il primo psichiatra che mi ha insegnato il senso di prendersi cura di un paziente con disturbi della comunicazione, ovvero di un malato psichiatrico), fin dall’inizio della mia carriera non ho potuto fare a meno di percepire quello di medico come mio status primario; in questo senso, per lo scrivente non è stato un caso l’abbracciare il ruolo di psichiatra dedicato alla Psichiatria di consultazione o di liaison nel corso dell’intero iter professionale all’interno del policlinico di Careggi: da consulente per l’Andrologia prima, a consulente per l’Immunologia-Allergologia, la Neurochirurgia e presso il Centro Regionale Allocazione Organi e Tessuti poi, sino al lungo periodo (2001-2023) come psichiatra referente per il Dipartimento Oncologico e responsabile, dal 2008, della SOD Psiconcologia.
Nel mondo anglosassone, dove il ruolo dello psichiatra all’interno delle realtà ospedaliere risulta centrale nell’ambito della multidisciplinarietà, Psichiatria di Consultazione e Psichiatria di Collegamento o di liaison, tendono a configurare prassi sostanzialmente distinte, laddove la prima è incentrata sul possibile problema psichiatrico, in comorbilità o alla base della patogenesi del problema internistico, mentre nella seconda lo psichiatra risulta integrato nelle attività del reparto, non solo condividendo le scelte terapeutiche ed il progetto riabilitativo secondo le logiche dell’approccio bio-psico-sociale, ma anche svolgendo un ruolo centrale nei confronti delle problematiche relazionali dello staff nel suo insieme.
Nel nostro paese, anche in relazione alla collocazione dei servizi psichiatrici post L. 180 all’interno delle realtà ospedaliere non sempre così univoca e definita come invece in ambito territoriale, le prassi di consultazione e di collegamento sono risultate non propriamente distinte ed è in questo senso che si è concretizzata l’esperienza dello scrivente sin dall’organizzazione dell’ospedale per aree specialistiche, laddove il riconoscimento del ruolo di referente per l’insieme delle problematiche psichiatriche e anche, in senso lato, psicologiche, finiva, col tempo, per realizzare la citata liaison con l’equipe curante nel suo insieme.
Il passaggio all’ospedale per intensità di cura, almeno in parte concomitante ai ben noti ‘tagli’ delle risorse al settore sanitario, ha comportato vistose modificazioni dell’assistenza al malato sul piano organizzativo. Rispetto alle forze in campo, i cardini appaiono sostanzialmente due: il medico tutor e l’infermiere di riferimento. All’interno del documento dell’ARS Toscana ‘Diffusione dei modelli organizzativi per intensità di cure negli ospedali toscani’, se ne fa esplicito riferimento quanto ai ruoli rispettivi. Cito quelli che mi sono apparsi i passaggi più rilevanti rispetto al tema oggetto del presente contributo:
- [il medico tutor è] “figura di raccordo tra evento acuto ospedaliero e la medicina generale […], interfaccia diretta con il MMG […], e per i professionisti che interverranno nel percorso di cura, avendo la responsabilità di interpellare gli specialisti per una corretta diagnosi.”;
- [all’infermiere di riferimento] “viene conferita la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni, con autonomia professionale. Si passa a un modello di assistenza personalizzata, per cui l’infermiere di riferimento diventa responsabile dell’assistenza al paziente affidatogli e del risultato del progetto assistenziale.”;
- […] “Date le loro responsabilità, il medico tutor e l’infermiere di riferimento devono possedere un’adeguata esperienza e competenza clinica rispetto alla comunicazione (sottolineatura dello scrivente) con i pazienti […].
Appare evidente a questo punto che le prassi della Psichiatria di consultazione e/o di liaison, nell’ambito dell’ospedale per intensità di cura, non possano che aver risentito delle profonde modificazioni che questo ha comportato sul piano assistenziale.
In termini generali, le maggiori criticità che lo psichiatra addetto ai servizi di Consultazione si trova a dover affrontare quotidianamente, di fronte ad una richiesta di intervento al letto del malato, si possono così riassumere:
- decodifica dell’istanza alla base della richiesta stessa;
- valutazione, nell’ambito del personale percorso di epicrisi, di termini come depressione e/o ansia all’interno del quesito diagnostico;
- valutazione dell’ammissibilità/fattibilità dell’intervento richiesto.
L’esperienza di quest’ultimo decennio in AOUC è sembrata caratterizzarsi per un’accentuazione di queste criticità. In questo senso:
- la decodifica dell’istanza è apparsa progressivamente sempre più problematica in base a richieste quantomeno generiche: “il malato/i parenti ci ha/hanno richiesto un supporto e noi vi giriamo la richiesta…” Appare evidente come lo scadimento della qualità della formulazione della richiesta rischi di livellare sullo stesso piano condizioni di grave distress psicologico rispetto a semplici esternazioni di disagi psicologici peraltro comprensibilissimi in relazione alle condizioni fisiche;
- la banalizzazione di termini come ‘depressione’ è una realtà ben radicata sul piano macrosociale. E’ evidente che faccia parte dei compiti dello psichiatra di consultazione l’andare al di là dei termini suddetti, come, d’altra parte, sono comprensibili i motivi, non foss’altro sul piano medico-legale, alla base di molte richieste di consulenza; è altresì evidente il rischio costante per il paziente di sentirsi stigmatizzato come ‘folle’ per aver esternato il proprio disagio e sentirlo poi tradotto in una richiesta di valutazione psichiatrica;
- sempre più spesso, forse anche a seguito di ‘pressioni’ che gravano sugli operatori ospedalieri, giungono richieste, di ‘psicoterapie’ da effettuarsi in corso di degenza, magari nella stessa stanza dove risulta ricoverato un altro malato (sic!).
A conti fatti, appaiono, le criticità descritte, sconcertanti proprio in una realtà come l’ospedale per intensità di cura, che trova i suoi fondamenti nella presenza di figure dedicate al malato come il medico tutor e l’infermiere di riferimento, non foss’altro sul piano della comunicazione. Inoltre le implicazioni sul piano relazionale fra consulente e staff curante non favoriscono certo l’integrazione dello stesso: più volte mi è accaduto di dover ricorrere, di fronte a richieste irricevibili come il ‘supporto psicologico’ (care) nelle condizioni descritte, a formule come “accetteresti di parlare della tua vita di fronte ad una persona che ti può ascoltare, ma che non conosci?”, formule queste che non certo aiutano la liaison… Tutto questo senza contare che, anche nelle organizzazioni ospedaliere del passato, la funzione di care è stata svolta, per lo più egregiamente, dal ruolo infermieristico, molto più avanti di un ‘supporto’ a rischio di stigma. Colpisce infine che, all’interno della formulazione stessa dell’ospedale per intensità di cure, troviamo alla voce ‘Rischi’ (cfr. il citato contributo dell’ARS): Mancanza di confronto e scarsa crescita per chi non è nella rete …
Ci si rende conto a questo punto come, proprio nell’attuale organizzazione per intensità di cure, occorra la piena integrazione della figura psichiatrica all’interno del percorso assistenziale ospedaliero, ossia il livello più elevato di liaison cioè lo psichiatra integrato, anche sul piano logistico, all’interno dell’equipe curante secondo il modello anglosassone. Se penso all’esperienza dello scrivente, viene da chiedersi come si sia potuti arrivare ai livelli di criticità descritti, a fronte dell’impegno che ho visto profuso, a volte oltre limiti tollerabili, dai Colleghi psichiatri nell’attività di consulenza. Forse la comunità psichiatrica, nella realtà del nostro Paese, non ha colto appieno il senso del cambiamento nell’assistenza ospedaliera. Forse non è stata coinvolta, forse non si è coinvolta. Resta il fatto che un modello attuale di liaison manchi e debba essere ricreato partendo dai fondamenti stessi alla base dell’attuale organizzazione ospedaliera: la soggettività delle cure, il modello bio-psico-sociale, l’integrazione di differenti professionalità nel percorso verso la guarigione; in poche parole, il reale superamento della logica della centralità delle aree specialistiche o super-specialistiche.
In una realtà ospedaliera logisticamente articolata come in AOUC, la figura di uno psichiatra di Padiglione/i appare, a giudizio dello scrivente, la più idonea ai compiti di liaison, che sono stati riassunti in Tabella 1.
Per fortuna, ci si occupa ancora di Psichiatria di Consultazione. Nel corso di un recente evento congressuale (La consulenza psichiatrica dall’ospedale generale al territorio e al medico di famiglia – Bologna 30 marzo 2023), la Dr.ssa Cristina Belsito, psichiatra dell’Ospedale Maggiore di Bologna, ha elencato, nel corso di un bell’intervento, i compiti dello psichiatra di consultazione (Tabella 2).
A questa esaustiva disamina, aggiungerei la lotta allo stigma, obiettivo che la L. 180/78, a mio avviso, non ha centrato. E’ nella dimensione della degenza entro le mura ospedaliere che può crearsi lo stigma più pernicioso, perché condiviso dalle altre figure decisive per la salute del malato, ma è anche la dimensione che può configurare un vero superamento della stigmatizzazione in quanto primo anello del percorso verso la guarigione.
Tabella 1 – Prassi nell’attività di liaison
prima di una consulenza a letto del malato, parlare col medico tutor |
partecipare ai briefing e, periodicamente, alle riunioni con gli infermieri |
partecipare ai contatti coi familiari, ma senza sostituirsi ai membri dell’equipe |
organizzare confronti sulla comunicazione, specie quella relativa alle ‘cattive notizie’ |
Tabella 2 – Compiti dello psichiatra nell’attività di consultazione
riportare l’attenzione sulla soggettività del pz, ≠ dalla visione EBM |
nell’approccio al malato, ridurre i confini dell’ultra-specializzazione |
nell’approccio al malato: Esserci con tempo, competenza, impegno, compassione ed equanimità, specie nei confronti del: pz psichiatrico in appoggio ad altre strutture pz che rifiuta le cure pz ‘da buttarsi fuori’ (sic) pz con pensieri suicidari pz ‘con niente di organico’ (sic) pz con errore iatrogeno pz trapiantato pz terminale |
fornire agli specializzandi conoscenze di base delle dimensioni emotive e psicosociali |