“In quale punto si trova, nell’Oceano della Storia, la nave su cui è imbarcato il genere umano? “ Giorgio La Pira sui la conferenza di Helsinky ottobre 1973
“Il burn out e la gratificazione non sono questioni di dipendenza o meno” si legge in una chat di medici e “il problema non è convenzione o dipendenza ma a cosa diamo priorità in quello che facciamo e come realizzarlo”.
Mi sembrano saggi proponimenti, espressi da giovani colleghi che, tuttavia, sentono drammaticamente questo ansiogeno dilemma. In realtà molti medici ospedalieri sono iscritti al corso di medicina generale; si sono dimessi lasciando un posto sicuro.
Altresì molti medici generali aspirano alla dipendenza come a un porto più professionalmente tranquillo. Ciascuno scotomizza i difetti altrui e ne esalta i vantaggi ma, in questa lamentela incrociata, c’è una forte motivazione comune, l’opprimente burocrazia, i “fogli” da riempire, i rendiconti da redigere, la trasformazione ragionieristica di una professione un tempo umanistica.
“Riprescrizioni e INPS occupano il 60% del mio tempo” lamenta un medico generale, la stessa amara constatazione dei colleghi ospedalieri. L’informatica ha peggiorato questo quadro perché, facilitando la raccolta dei dati, ha aumentato le incombenze derivanti dalla pretesa matematizzazione della professione.
Ma non vi è soltanto questa distorsione professionale. “La mia compagna lavora in un PS di terzo livello; per indennità Covid di due anni hanno ricevuto una tantum 500 e. lorde. Per il mostruoso culo fotonico che si sono fatti io avrei lanciato uova marce sulla Direzione Sanitaria”.
I medici, ancor più i giovani, vivono la rabbia di un lavoro più oppresso dall’amministrazione che vivificato dalla clinica nonché poco retribuito, meno che nel resto d’Europa. Prima che cedere alla tentazione di emigrare si tenta di cambiar lavoro, illusione che fomenta delusione.
Al triennio della Medicina Generale son iscritti medici ospedalieri che hanno lasciato il posto sicuro mentre le vocazioni dei giovani aspiranti medici generali cedono alle sirene delle specializzazioni. Ognuno esalta i pregi del lavoro del vicino e tutti vivono a disagio, ovunque si trovino a esercitare.
Un fatto è certo: se i medici si organizzassero in un fronte compatto a difesa della professione non potrebbero mancare risultati positivi. Ma non oltre un ceto limite: viviamo ormai l’era dell’informatica che sta sostituendo l’epoca dell’approssimazione, convinti d trasformare “il grado di certezza della medicina”. che non può superare la ragionevolezza come aveva preconizzato George Cabanis nel 1788, nel dominio della numerazione, della comunicazione digitale. Il mondo oggi vive di dati, i Big Data, bisogna farcene una ragione, le emoj sostituiscono le emozioni e il numero dei contatti la narrazione del vissuto.
Le vecchie, occhiute polizie totalitarie hanno ceduto al capitalismo della sorveglianza, gradito a chiunque debba esercitare un controllo e non possiamo pensare che chi fa spendere il 10% del PIL, i medici, non siano sotto gli occhi di chi amministra quell’enorme impresa che è la sanità moderna, pubblica i privata. Le Assicurazioni – il sistema lombardo- sarebbero senz’altro il peggior datore di lavoro.
Insomma ribelliamoci contro la stupidità, ricordando che la medicina è una scienza dell’approssimazione, ma la burocrazia, l’accountability, il controllo numerico, la fredda tecnologia sono inevitabili. L’idea guida è di trovare un rinnovato equilibrio tra intelligenza umana e artificiale e riuscire ancora a porre la tecnica al servizio dell’uomo e non al contrario.
Percepiamo per la prima volta che la tecnica ci condiziona fino a modificare il modello di ragionamento della medicina. Percepiamo la conseguente perdita di ruolo; il porre ordine nei fatti che ci circondano non è più appannaggio dei medici ma dell’onnipotenza dei dati e della loro pretesa certezza.
Era interessante ascoltare i conduttori televisivi al campionato del mondo, costretti a raccontarci la partita in numeri, passaggi, metri, minuti, mentre trionfava nel gioco il fattore umano. Spetta ai medici evitare che, tra le tante “omiche”, il paziente si riduca a un mero “datoma”.
Antonio Panti