Alessandro Capitanini, Specialista in Nefrologia
Introduzione
L’inattività fisica è una delle principali cause di mortalità a livello globale e nei pazienti con malattia renale cronica (CKD) rappresenta un fattore di rischio indipendente. Nonostante i benefici documentati dell’esercizio fisico, la prescrizione di programmi di riabilitazione motoria nei pazienti nefropatici è ancora poco diffusa. Il motivo? Un mix di barriere culturali, operative e di inerzia clinica.
La fragilità nel paziente nefropatico: una realtà sottovalutata
La fragilità nei pazienti dializzati non è un parametro misurabile con un esame del sangue o un semplice indice clinico: è un fenomeno dinamico, spesso sottovalutato nella pratica nefrologica. Studi storici, come quello di Saltin negli anni ‘60, dimostrano che la sedentarietà accelera il declino funzionale: in soli 20 giorni di immobilità si può perdere fino al 30% della capacità aerobica (VO2 max). Questo fenomeno è amplificato nei pazienti anziani e nefropatici, dove il mix tra CKD e invecchiamento favorisce una rapida perdita di massa muscolare e forza.
Barriere all’attività fisica nei pazienti dializzati
Nonostante l’evidenza scientifica a favore dell’esercizio fisico, la sua implementazione nei percorsi nefrologici è ancora rara. Le principali barriere sono:
1. Culturali: l’eredità della “regola delle tre L” (letto, lana, latte) del passato nefrologico italiano ha instillato una diffidenza nei confronti dell’attività motoria.
2. Fisiopatologiche: il timore di effetti negativi come proteinuria da sforzo, microematuria e vasocostrizione renale ha contribuito all’inerzia terapeutica.
3. Organizzative: la dialisi viene spesso considerata l’unico fulcro dell’assistenza, senza una reale integrazione con programmi riabilitativi.
4. Percezione errata del paziente: il personale sanitario presume spesso che il paziente non sia motivato, ma studi dimostrano che uno staff proattivo può incrementare l’adesione ai programmi di riabilitazione del 30%.
Dai dati alla pratica: il modello Pistoia-Pescia
Dal 2002, il team nefrologico di Pistoia e Pescia ha implementato un approccio multidisciplinare alla riabilitazione in dialisi, coinvolgendo nefrologi, fisiatri, fisioterapisti e infermieri di dialisi. I pazienti vengono valutati con test funzionali adeguati al loro stato clinico. Dopo le opportune valutazioni funzionali l’approccio adottato include diverse modalità di esercizio:
• Training intra-dialitico: esercizi di resistenza e coordinazione durante la seduta dialitica, con benefici in termini di compliance e benessere psicologico.
• Palestra ospedaliera: sessioni nei giorni di non dialisi per migliorare forza e resistenza.
• Programmi domiciliari: schede personalizzate con monitoraggio tramite pedometri.
Vista la bontà del progetto abbiamo esteso il programma valutativo/interventistico a tutti i soggetti dializzati dell’Area Vasta Toscana Centro: lo studio REACT (Rehabilitation in hEmodialysis Area Centro Toscana.
Lo studio ha mirato a colmare la più grande lacuna della Nefrologia: la valutazione dello stato funzionale dei pazienti. E’ più facile e di uso comune la valutazione periodica degli esami ematochimici dei pazienti ma poco o niente viene fatto in termini di valutazione dello stato funzionale fisico, peraltro quello che ha maggiormente a cuore il paziente stesso. Migliorando il progetto Pistoia-Pescia abbiamo introdotto una valutazione multidimensionale della funzione fisica nei pazienti emodializzati attraverso il contributo di un gruppo di lavoro multidisciplinare e multiprofessionale. Solo attraverso la valutazione funzionale è possibile proporre un adeguato programma riabilitativo
Obiettivi
Lo studio ha avuto l’obiettivo di:
1. Valutare lo stato funzionale dei pazienti in dialisi mediante test fisici validati.
2. Stratificare i pazienti in base alla loro performance fisica.
3. Identificare strumenti utili per personalizzare programmi di riabilitazione e attività fisica.
Metodi
Lo studio osservazionale trasversale ha coinvolto 446 pazienti (età media 67,5 anni) provenienti da 8 centri di emodialisi della Toscana. Il protocollo di valutazione comprendeva:
• Short Physical Performance Battery (SPPB): test primario per stratificare i pazienti in tre gruppi (scarsa, moderata e buona performance).
• Handgrip Strength Test (HST): misurazione della forza muscolare della mano.
• Elderly Falls Screening Test (EFST): valutazione del rischio di cadute.
• Short Form Health Survey (SF-12): valutazione della qualità della vita percepita.
Le valutazioni sono state condotte da infermieri di dialisi formati da fisioterapisti e nefrologi, nell’ambito di un approccio multidisciplinare denominato Dialysis Exercise Team.
Risultati
• Il 53,4% dei pazienti mostrava un grave deterioramento della funzione fisica (SPPB <6).
• Il gruppo con peggiore performance era significativamente più anziano (75,1 vs. 60,2 anni, p<0,001).
• SPPB è risultato fortemente correlato a età, forza muscolare (HST), rischio di cadute (EFST) e qualità di vita (SF-12).
• La performance fisica dei pazienti dializzati era equivalente a quella di soggetti sani con 10 anni in più, suggerendo un invecchiamento accelerato dal punto di vista funzionale.
Discussione
• Lo studio conferma che i pazienti in dialisi presentano un importante declino della funzione fisica, comparabile a soggetti più anziani della popolazione generale ma tale declino ed il relativo bisogno vengono raramente evidenziati. Peraltro la fragilità si associa fortemente al rischio di cadute le cui nefaste conseguenze sono ben note.
• L’SPPB si è rivelato un efficace strumento di stratificazione della popolazione dialitica.
• EFST, HST e SF-12 forniscono informazioni aggiuntive utili per la personalizzazione degli interventi riabilitativi.
• L’approccio multidisciplinare con la partecipazione di fisioterapisti è risultato fondamentale per migliorare l’identificazione dei deficit funzionali e l’implementazione di programmi di esercizio mirati.
Prospettive future
• La valutazione funzionale dovrebbe essere integrata nella pratica clinica routinaria per i pazienti in dialisi.
• Programmi di esercizio individualizzati potrebbero migliorare la qualità della vita e ridurre le complicanze associate alla fragilità nei pazienti dializzati.
Conclusioni: il futuro della Nefrologia passa per la valutazione dello stato funzionale e di eventuali interventi riabilitativi/motori.
Le linee guida attuali sottolineano l’importanza dell’integrazione tra terapia nutrizionale, dialitica e motoria. L’attività fisica nei pazienti con CKD non è un’opzione ma una necessità. Il superamento delle barriere culturali e organizzative rappresenta la vera sfida per la Nefrologia moderna.
Il tempo della Nefrologia “passiva” è finito: è il momento di un cambio di paradigma, in cui la valutazione e il miglioramento dello stato funzionale del paziente siano parte integrante della cura, al pari delle tecniche depurative.