Andrea Vannucci, professore a contratto di programmazione, organizzazione e gestione delle aziende sanitarie DISM UNISI
Viviamo in un contesto caratterizzato da un immenso debito pubblico e una modesta crescita, da improbabili aumenti del finanziamento del sistema sanitario, da una consistente demotivazione, – per non dire di più – del personale sanitario associata a una significativa carenza numerica, da una preannunciata riforma fiscale che non dà molte speranze per il rafforzamento futuro del welfare.
In questa situazione si può anche pensare ed affermare che negli ospedali italiani servono più posti letto, 37mila, come recentemente un grande sindacato medico ha affermato, ma è probabilmente irrealizzabile. Calcolando che attualmente i parametri anche più stringenti prevedono per la costruzione di nuovi edifici non meno di 100 mq a posto letto e che un mq costa, nella migliore delle ipotesi, circa 2500 euro, l’impegno finanziario richiesto supererebbe i 9 miliardi. Né molto meglio andrebbe nel caso di recupero e ristrutturazione di eventuali spazi già esistenti. La fattibilità della proposta sembra quindi lontana.
Senza nulla togliere con questo alla drammaticità del momento, ma anzi proprio per affrontarla con la massima serietà, dobbiamo abbandonare schemi mentali e supposizioni che si basano sull’invarianza organizzativa e immaginare e intraprendere vie nuove. Troppi ancora pensano che concretezza sia guardare ai problemi del presente e del circostante e così limitano drammaticamente le possibilità di immaginare ed attuare cambiamenti forti e non rimandabili, continuando a lamentare criticità che loro stessi involontariamente tendono a perpetuare e quindi aggravare.
Nel lontano 1932, il Dr. Holbrook illustrò la sua visione per il futuro degli ospedali in una pubblicazione intitolata ‘L’ospedale ideale del futuro’. L’autore sosteneva che gli ospedali non hanno bisogno di cambiamenti radicali né nei servizi clinici né nel modo in cui gestiscono pazienti. Ancora oggi l’ospedale standard offre un modello di cure sostanzialmente simile in qualsiasi parte del mondo e non ha subito rivoluzionari cambiamenti. Gli ospedali ancora rappresentano il punto centrale dell’assistenza sanitaria, i luoghi dove è possibile trovare i professionisti sanitari, le attrezzature e gli strumenti diagnostici che servono e così sarà ancora in futuro.
Se la maggior parte delle persone ha una certa familiarità con tale esperienza altrettanto familiari cominciano ad essere i recenti cambiamenti dell’assistenza sanitaria, particolarmente accelerati dalla pandemia di COVID-19. Tali cambiamenti ruotano principalmente attorno all’integrazione di tecnologie con componenti remote, come la telemedicina, il telemonitoraggio, la diagnostica per immagini e di laboratorio possibile anche a domicilio. Tutti strumenti portano l’assistenza sanitaria al di fuori dei confini fisici degli ospedali. Questi nuovi approcci e il modo in cui i pazienti sono gestiti stanno diventando sempre più prevalenti in molti paesi e sconvolgono le modalità preesistenti dell’organizzazione delle cure. Da noi ancora insiste l’idea che questo tipo di cambiamenti riguardi sostanzialmente le cure territoriali ma non è solo così.
Molte sono mutate e possiamo dire che, nell’era della salute digitale, gli ospedali hanno un disperato bisogno di ulteriori cambiamenti. Cambiamenti al plurale, in quanto spaziano dalla loro progettazione alle modalità di assistenza e ai ruoli dei professionisti. Le cure e i servizi tradizionalmente ospedalieri possono partecipare ai complessi processi di trasformazione ormai in atto, mutando ma non riducendo il ruolo dell’ospedale.
Non si deve pensare né che con l’adozione delle tecnologie della salute digitale gli ospedali diventeranno obsoleti né che diventeranno in pratica delle realtà virtuali. Tutt’altro, tali istituzioni saranno ancora necessarie per decenni.
Le persone avranno ancora bisogno di cure acute e si rivolgeranno agli ospedali per queste esigenze nonché per procedure invasive e per analisi approfondite che richiedono attrezzature e professionisti specializzati che possono solo negli ospedali trovare spazi appropriati.
Tuttavia, i ruoli degli ospedali saranno diversi in futuro. Gran parte della routine, i controlli e le visite in cui non è necessario partecipare di persona saranno spostate on line grazie alla telemedicina. ai teleconsulti e agli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Ciò libererà tempo e risorse per il personale medico e consentirà di concentrarsi sui casi che richiedono cure più tempestive o manovre invasive. Per adottare correttamente queste nuove funzioni saranno necessari per gli ospedali cambiamenti radicali, al contrario di quanto pensava il Dr. Holbrook nel 1932.
Il concetto di Point of Care
Chiunque sarà interessato a progettare, o anche solo comprendere, il futuro degli ospedali nello specifico o dell’assistenza sanitaria in generale deve sforzarsi di capire i mutamenti del concetto di “punto di cura”, perché è ciò che già sta determinando i maggiori cambiamenti.
Il punto di cura (POC) è definito come “il luogo in cui vengono ricevute/erogate cure sanitarie”. Nei secoli il POC si è spostato in modo significativo dal capezzale dei malati agli ambulatori dei medici e agli ospedali. Negli ultimi decenni, e soprattutto negli ultimi anni grazie ai servizi di telemedicina, è in atto il percorso inverso. Il POC si è esteso al di fuori degli spazi fisici delle strutture sanitarie e ora include i pazienti, ovunque si trovino. Una dei punti chiave delle tecnologie sanitarie digitali è che possono democratizzare l’accesso alle cure perché sono in grado di operare una revisione del concetto tradizionale di POC che consente ai pazienti di diventare più proattivi nella gestione della loro salute. La nuova realtà dei POC nell’era della salute digitale consisterà in due componenti, entrambe partecipate dai professionisti dell’ospedale, una si svilupperà fuori dalle mura degli ospedali e l’altra al loro interno: l’assistenza acuta e le esigenze chirurgiche.
Per quanto riguarda lo spostamento del POC fuori dai confini degli ospedali, questo approccio è stato già in parte avviato dalla Medicina d’Emergenza Urgenza, nelle ambulanze dove i primi soccorritori eseguono procedure salvavita. Il personale sanitario che opera su questi mezzi, sempre più dotati di nuove tecnologie, come gli strumenti per la telemedicina e i dispositivi diagnostici portatili, è in grado di connettersi con il luogo dell’eventuale ricovero, anticipando le fasi iniziali del percorso clinico oppure risolvendo situazioni che in passato sarebbero state motivo di ospedalizzazione grazie all’uso del teleconsulto. Questo accade, ma non sistematicamente, già adesso e, senza arrivare all’esperienze di ospedali virtuali come già in altri paesi esistono e seguono a distanza migliaia di pazienti, è un esempio di come la disponibilità di una nuova tecnologia può modificare il modo di curare, evitare ricoveri per patologie altrimenti trattabili in piena sicurezza, alleggerire gli afflussi nei pronti soccorsi. La progettazione dei futuri ospedali dovrebbe tenere conto di tali concetti e predisporre spazi ospedalieri specificamente configurati e funzionalmente dedicati perché l’assistenza remota è una strada promettente da percorrere.
Con l’avvento del Internet of Medical Things, che comprende un’infrastruttura di dispositivi medici, applicazioni software, sistemi sanitari e servizi, le cure possono essere efficacemente portate oltre le mura dell’ospedale, semplicemente perché ci sono pazienti non hanno bisogno di ricovero in ospedale, ma piuttosto di monitoraggio. Da qui nasce il concetto di “reparti virtuali”. Queste ultime sono soluzioni che supportano i pazienti con monitoraggio e trattamento a distanza nelle proprie case attraverso digitale remoto.
Con il monitoraggio in tempo reale e la comunicazione bidirezionale, i pazienti possono contattare i medici e questi ultimi possono intervenire tempestivamente in caso di segni di deterioramento. In questo modello, è possibile un’integrazione diretta con le cure territoriali, magari direttamente con l’infermiere di famiglia che andrà in visita e eseguirà procedure per le quali sarà opportunamente formato come medicazioni per ferite e anche terapie endovenose. Perché anche qui, intendo riferirmi al potenziale operativo e al ruolo professionale degli infermieri, qualcosa dovremo cambiare.
Questo nuovo ruolo degli ospedali dovrebbe quindi essere seriamente considerato e armonizzato con quello di altre strutture come le case e gli ospedali di comunità perché sarà una misura significativa per superare il dilemma che è ben presente a tutti: grazie ai fondi PNRR destinati avremo le mura ma non i professionisti sanitari. Però avremo anche nuove tecnologie e questa occasione deve essere trasformata in un vantaggio. Dovremo sfruttare queste opportunità per guidare e accelerare una trasformazione radicale del modo d’intendere l’ospedale e le attività che storicamente lì si svolgono, analizzando i processi sanitari per valutare il miglior utilizzo di questi strumenti e formare adeguatamente il personale. È auspicabile che questo sarà un vero esercizio di governance clinica.
IL DM 77, la mini riforma delle cure territoriali, non sarà sufficiente perché perpetua la divisione tra esse e quelle ospedaliere, non introduce alcuna sinergia e non produrrà mai soluzioni efficienti e quindi sostenibili. Cambia nomi, disegna assetti diversi ma non innovativi e non funzionerà.
Senza una visione d’insieme difficilmente usciremo dalle difficoltà che stiamo incontrando. Si ascoltano, anche da parte dei rappresentanti più alti delle istituzioni toscane preposte, ricette per decongestionare i Pronto soccorsi quali disporre di diagnostica per immagini dedicata e istituire negli ospedali la figura del bed manager, ma se ne parlava già ad inizio secolo e in vari ospedali da noi già ci sono. Si sono dimostrate utili ma l’attuale situazione ci mostra che non sono determinanti. Soprattutto quello che ormai sta diventando evidente è che soluzioni tampone e interventi di emergenza non solo non funzionano ma comportano il rischio di aprire nuove falle. È ora il tempo di una riforma complessiva e purtroppo, va tenuto presente, il percorso centrifugo di tanti diversi sistemi sanitari regionali non renderà più facile la cosa.
Se pensiamo che non c’è progresso senza miglioramento, ricordiamoci che non c’è miglioramento senza cambiamento e che le soluzioni vanno ricercate in ciò che magari già c’è ma che ancora non vediamo con chiarezza o che troppi pochi ancora vedono. Dovremmo però almeno condividere una certezza ed è che ormai, come scriveva il poeta, “il passato è una terra straniera”.