Domenico Inzitari, Neurologo, Presidente della Associazione per la Lotta all’ Ictus Cerebrale (A.L.I.Ce. OdV), Firenze
Abstract
L’ictus cerebrale rappresenta ancora una delle più frequenti e gravi malattie, in termini di mortalità, disabilità residua, costi per la società e sistema sanitario, carico sociale e familiare. L’informazione rappresenta un momento di estrema importanza in termini sia di prevenzione che di comportamento nella fase di comparsa dei sintomi. Oltre al ruolo essenziale che deve avere nella prevenzione primaria, il medico di medicina generale dovrebbe riprendere, con l’adeguato supporto di figure come infermieri e fisioterapisti, una posizione centrale nella gestione del paziente che esce dalla fase acuta. L’applicazione sistematica, efficace ed efficiente in ciascuna fase del percorso (prevenzione primaria, gestione della fase acuta, e riabilitazione) di una evidenza scientifica ormai consolidata, consentirebbe di ridurre in modo consistente il carico economico, sociale e personale della malattia.
La definizione “Patologia cerebrovascolare” è molto ampia ed include sia l’ ictus cerebrale acuto con i suoi sottotipi, che le malattie vascolari croniche dell’encefalo, tra cui, quella più largamente prevalente, è la malattia dei piccoli vasi cerebrali, prevalentemente collegata all’effetto della ipertensione arteriosa di lunga durata, causa di disfunzioni di grado variabile, sia motorie che cognitive, da cui risulta essere affetto un numero assai vasto di persone di età più o meno avanzata.
Gli articoli che seguono la presente introduzione sono focalizzati sull’ictus acuto, nelle sue convenzionali forme patologiche: ischemico (circa l’80% dei casi) ed emorragico (20% dei casi), includendo in tale quota la emorragia subaracnoidea (5%). L’attacco ischemico acuto è causato a sua volta da meccanismi differenziati: quelli a più ampia incidenza sono le forme aterotrombotiche (l’ischemia viene determinata per via ateroembolica od emodinamica), quelle cardioemboliche, e le lacunari. Vi è ancora un elenco di cause più rare, a maggiore incidenza giovanile. Da tenere presente tra queste la dissecazione traumatica delle arterie cerebro-afferenti, l’embolismo venoso attraverso il forame ovale pervio, le vasculiti e le vasculopatie su base genetico-dismetabolica. Dati più dettagliati su queste classificazioni saranno forniti dagli articoli presentati dagli altri coautori.
Sul piano epidemiologico l’attenzione deve essere costantemente focalizzata sulla enorme frequenza di questa patologia. Nel nostro Paese si contano 200.000 nuovi casi all’anno. I trend di incidenza mostrano la tendenza ad una lenta riduzione nel tempo, conseguente ovviamente al miglioramento complessivo dello stile di vita e alla applicazione sempre più estensiva delle regole di prevenzione. Il tutto però viene ad essere controbilanciato dal progressivo invecchiamento della popolazione. L’invecchiamento rimane infatti un fattore fortemente determinante ma, come verrà rimarcato dalla sezione specifica sull’ictus giovanile, vi sono dati molto preoccupanti relativi al progressivo e rapido aumento dell’ictus nei soggetti di età inferiore ai 45 anni, fenomeno verosimilmente collegato alla sempre maggiore diffusione, per quanto riguarda queste classi di età, di abitudini voluttuarie (abuso di alcool, droghe di vario tipo, fumo di sigaretta, comportamento alimentare).
Il carico economico e sociale dell’ictus cerebrale rimane molto elevato: nei paesi industrializzati come il nostro, l’ictus è la prima causa di disabilità nell’adulto-anziano, e la seconda/terza causa di morte. Per le persone in età lavorativa gli effetti drasticamente negativi sono rappresentati, sia per il paziente che per la famiglia, oltre che dalla perdita economica, dal forte impatto emotivo/esistenziale. Ma anche per gli anziani, il carico per i soggetti colpiti, come per le famiglie e per la società, risulta essere assai importante. Per l’ictus in Italia l’indicatore DALY (Disability-Adjusted Life Years), che valuta il numero di anni di vita persi a causa di morte prematura e disabilità, è pari a 4 DALY persi per Ictus ogni 1000 abitanti, per un totale di 230.000 DALY persi ogni anno. La spesa annuale per l’assistenza all’ictus nel nostro Paese è stimata intorno ai 3,5 miliardi di Euro. In Toscana i casi incidenti di ictus sono rimasti relativamente stabili nel tempo, negli ultimi anni intorno ai 10.000/anno. Secondo studi internazionali, nei paesi industrializzati la spesa diretta per l’ictus equivale allo 0,27% del PIL. Considerando che il PIL della Toscana è di circa 104 miliardi di Euro, la spesa a carico della Regione può essere valutata in circa 280 milioni di Euro/anno.
Le misure internazionali di esito dimostrano da decenni come sia possibile ridurre in modo notevole la frequenza della malattia e la gravità funzionale residuale e quindi il carico sociale, qualora vengano efficientemente ed efficacemente implementate linee guida e percorsi/processi nell’ambito della prevenzione primaria, della diagnosi e trattamento della fase acuta, della prevenzione secondaria e della riabilitazione.
Fig. 1. Le tre fasi del percorso ictus da concatenarsi tra di loro in forma strutturalmente integrata.
Nei singoli riquadri le parole chiave indicanti attori, funzioni, ed elementi qualificanti.
Dalla prima sezione della figura 1 si evince che informazione ed educazione della popolazione attraverso piani organizzati attraverso mezzi di comunicazione allargata, locandine, mass media, incontri pubblici, lezioni nelle scuole, possono contribuire ad estendere il numero di persone che imparano a conoscere i fattori di rischio della malattia e come comportarsi (ad esempio: chiamata immediata della rete di emergenza) al manifestarsi dei primi sintomi di un attacco acuto. Nella informazione, rilevazione sistematica e diagnosi dei fattori di rischio (ipertensione, diabete, fumo, obesità, dislipidemia) il MMG gioca ovviamente un ruolo centrale. Egli rimane il primo attore del trattamento di essi mediante una gestione appropriata ed aderente (controlli sistematici dei valori nel tempo ed aggiustamento conseguente di farmaco e dose). Nella diagnosi selettiva delle cardiopatie, sia morfologiche che funzionali (in particolare quelle aritmogene) ed il trattamento preventivo collegato (vedi uso degli anticoagulanti), il MMG può avere evidentemente bisogno di un supporto cardiologico. La presentazione sotto forma di attacchi ischemici transitori richiede un percorso organizzato ad azione rapida in sede ospedaliera o para ospedaliera per la conferma diagnostica (tra cui la esclusione di alcune cause non ischemiche, i cosiddetti “TIA mimics”), alla definizione dei meccanismi (aterotrombotico, cardioembolico etc.) e alla stesura del programma terapeutico. La fase acuta, ormai adeguatamente strutturata in sede regionale, con percorsi avanzati sia a livello territoriale che per quanto riguarda gli ospedali di vario ordine e grado (strutture spoke ed hub), trae vantaggio dall’applicazione esperta delle procedure (sia cliniche che strumentali) dei moderni trattamenti dell’ictus ischemico (trombolisi endovenosa, trombectomia meccanica). Tuttavia ancora dati di efficacia per quanto riguarda la fase acuta, accumulatisi negli ultimi decenni non vengono applicati. Inoltre risultati di trial controllati indicano che la presa in carico del paziente con ictus acuto, sia trattato che non trattato, da parte di una struttura specificamente strutturata ed organizzata definita Stroke Unit, aumenta di tre volte la probabilità, per un paziente gestito da tale struttura, di sopravvivere senza disabilità grave rispetto ai pazienti ammessi in strutture ospedaliere non dedicate. Il Decreto Ministeriale n. 70 del 2015 elenca con precisione le linee organizzative di queste strutture. Le Stroke Unit applicano, tra l’altro, un approccio di sorveglianza intensiva sia di tipo funzionale che riabilitativo, da attivarsi il più rapidamente possibile dopo l’evento, allo scopo di prevenire le complicanze multiorgano ed innescare il recupero funzionale.
Il controllo sistematico della efficacia ed efficienza dei processi e dei percorsi eventualmente implementati, necessita di un sistema validato di misurazione degli esiti per ciascuna fase. Una carenza esemplificativa è rappresentata dalla mancata applicazione della Scala di Rankin (Fig. 2), applicata in tutto il mondo, che serve a misurare l’esito funzionale dopo la fase acuta, sia a tre mesi dopo la dimissione che nel corso dell’ulteriore follow-up
Fig. 2. Scala di Rankin per la misurazione del grado di handicap come esito funzionale dopo l’ictus
Purtroppo, anche per la non conoscenza dei primi sintomi dell’ictus, solo il 20% dei pazienti con ictus ischemico acuto riceve nei tempi giusti i trattamenti della fase acuta e comunque non tutti raggiungono un recupero funzionale accettabile. Considerando i casi sia trattati che non trattati, circa il 50%, di pazienti che escono dalla fase acuta hanno esigenza di un approccio riabilitativo intensivo qualificato ed individualizzato, da proseguire nel tempo, per mesi, o a volte anche per anni, prima in una struttura riabilitativa dedicata e poi sul territorio. La interruzione o la riduzione di qualità nelle varie fasi di questo percorso rischiano di annullare i vantaggi della gestione in fase acuta. Vi è poi il problema della prevenzione secondaria, che una volta impostata dalla struttura ospedaliera dimettente, deve essere gestita nel tempo sul territorio sempre in modo appropriato ed aderente. Riemerge quindi il ruolo centrale del MMG, che deve assumere un ruolo proattivo, con l’eventuale appoggio degli specialisti di riferimento (neurologo, cardiologo etc.). Per la sua figura centrale di riferimento per il paziente e per la famiglia, il MMG dovrebbe avere anche la possibilità di giudicare i risultati del percorso riabilitativo, con la stretta collaborazione e l’interscambio con fisiatri e fisioterapisti. Questi ultimi dovrebbero essere specificamente capaci di disegnare e gestire un piano riabilitativo personalizzato da ritagliarsi nel singolo paziente in rapporto a tipologia dei deficit ed alle potenzialità del migliore recupero funzionale. Gli obiettivi generali dovrebbero comprendere anche il reinserimento sociale e lavorativo. Obiettivi più specifici comprendono anche la guida dell’automobile, la ripresa delle attività del tempo libero, e della sfera sessuale. La frequenza della depressione post-ictus è elevata (oltre il 30%), dato che può essere modificato con la gestione complessiva suindicata.
Tutti i processi e gli obiettivi summenzionati, opportunamente inseriti nel percorso complessivo, con il personale adeguato e le strutture assistenziali collegate in rete, furono anni fa descritti e dettagliati nell’ambito del piano assistenziale territoriale definito Chronic Care Model. Ostacoli di tipo burocratico/amministrativo, che evidentemente non hanno tenuto conto del rapporto estremamente favorevole tra costi ed efficacia, non hanno consentito finora di implementare il progetto.