Jacopo Lomi, Specializzando in nefrologia, Università degli Studi di Firenze
Le linee guida sull’ipertensione del 2023 della Società Europea dell’Ipertensione (ESH, European Society of Hypertension), approvate dalla Società Internazionale dell’Ipertensione (ISH, International Society of Hypertension) e dalla Società Europea di Nefrologia (ERA, European Renal Association), definiscono l’ipertensione arteriosa (IA) resistente quando vi sia una persistenza di valori di pressione arteriosa (PA) ambulatoriale ≥140/90 mmHg nonostante una terapia medica composta da almeno tre farmaci antiipertensivi al massimo dosaggio tollerato, preferibilmente un ACEi (angiotensin-converting enzyme inhibitor) o sartano (ARB, angiotensin receptor blocker), un calcio-antagonista (CCB, calcium channel blocker) ed un diuretico (tiazidico o tiazidico-simile per i pazienti con eGFR >45 mL/min/1,73 m2, diuretico dell’ansa per i pazienti con eGFR <30 mL/min/1,73 m2). L’inadeguato controllo pressorio dovrebbe essere confermato anche al monitoraggio pressorio delle 24h (24h ABPM, ambulatory blood pressure monitoring). Per trattare questo tipo di ipertensione il farmaco indicato come prima scelta è lo spironolattone (o altri antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi) se eGFR >30 mL/min/1,73 m2, oppure il clortalidone (o un altro diuretico tiazidico o tiazidico-simile) se eGFR <30 mL/min/1,73 m2. In alternativa, possono essere considerati beta-bloccanti, alfa1-bloccanti o simpaticolitici ad azione centrale. L’indicazione riguardo la denervazione renale transcatetere (RDN) è di considerarla per i pazienti con eGFR >40 mL/min/1,73 m2.
Le precedenti linee guida sull’ipertensione del 2018 ESC (European Society of Cardiology)/ESH sconsigliavano l’utilizzo della RDN nella pratica clinica, relegandone l’applicazione al solo ambito di studi clinici, a seguito dei risultati contrastanti forniti dai principali studi che ne hanno valutato l’efficacia, in cui la procedura è stata eseguita con cateteri unipolari a radiofrequenza di prima generazione: da un lato gli studi Symplicity HTN-1 (2009), Symplicity HTN-2 (2010), con risultati positivi riguardo l’efficacia antiipertensiva della RDN, dall’altro lato gli studi Symplicity HTN-3 (2014) e Prague-15 (2015), in cui non è emersa una superiorità della RDN confrontata con la sola angiografia renale (procedura diagnostica ma non terapeutica utilizzata come gruppo di controllo) o con l’implementazione della terapia antiipertensiva farmacologica.
In seguito, lo sviluppo tecnologico ha portato alla realizzazione di cateteri di seconda generazione (sia multipolari a radiofrequenza che ad ultrasuoni) ed i successivi studi randomizzati controllati hanno confermato l’efficacia antiipertensiva e la sicurezza della procedura, influenzando quindi la raccomandazione presente nelle ultime linee guida ed in una recente presa di posizione della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) e della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA).
Analizzando l’esperienza toscana nel campo della RDN, uno studio retrospettivo multicentrico [Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio per la Ricerca Medica e di Sanità Pubblica – CNR Regione Toscana (Pisa), Ospedale di Lucca] che ha raccolto le procedure eseguite fra luglio 2012 e dicembre 2018 ha mostrato una riduzione significativa dei valori di PA sistolici (-10,7 ± 6,0 mmHg) e diastolici (-5,3 ± 3,9 mmHg) al 24h ABPM ad un follow-up medio di un anno ed una riduzione del numero di farmaci antiipertensivi assunti in seguito alla procedura (-1,2 farmaci). Riguardo la sicurezza della procedura, non sono state rilevate alterazioni significative dei valori di creatininemia dovute all’intervento, e le complicanze sono state rappresentate solo da ematomi a livello del sito di accesso femorale.
Per quanto riguarda i pazienti con malattia renale cronica moderata-severa, l’assenza di studi randomizzati controllati sulla RDN in pazienti con eGFR <40 mL/min/1,73 m2 ha portato ad escludere tali pazienti dalla candidabilità alla procedura secondo le ultime linee guida; sono tuttavia presenti in letteratura evidenze sull’efficacia antiipertensiva e la sicurezza della procedura anche in pazienti con CKD stadio III-IV ed in pazienti con CKD stadio V in trattamento emodialitico.
La denervazione renale transcatetere appare pertanto come una possibilità terapeutica aggiuntiva per i pazienti con ipertensione arteriosa resistente o difficile da trattare, anche con malattia renale cronica, in cui si siano escluse cause secondarie di ipertensione, all’interno di Centri specializzati nella terapia dell’ipertensione.
Per bibliografia: jacopo.lomi@unifi.it