Raffaele Laureano, Specialista in Medicina Interna, Pneumologia e Nefrologia
L’OMS definisce l’ictus cerebrale come “l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto, non attribuibili ad altra causa apparente se non a vasculopatia cerebrale”.
L’ictus cerebrale è dovuto ad emorragia, subaracnoidea o intra parenchimale o ad ostruzione vasale con conseguente ischemia cerebrale. L’ictus ischemico, secondo la classificazione TOAST (FIG.1) viene suddiviso a sua volta in sottotipi in base alla eziologia del danno vascolare; si riconoscono ictus da aterosclerosi dei grossi vasi cerebro-afferenti, ictus da ostruzione dei piccoli vasi intracerebrali, ictus cardioembolico, ictus da altre cause determinate, più rare, come ad esempio dissecazioni arteriose o vasculiti. In altri casi l’origine è indeterminata: ciò può essere dovuto ad incerta attribuzione, quando sono compresenti due o più meccanismi, oppure quando non sono siano state eseguite indagini diagnostiche sufficienti ad identificare le cause o quando queste siano risultate negative.
L’ictus emorragico rappresenta il 18% di tutti gli ictus e riconosce come causa principale l’ipertensione arteriosa. L’ictus ischemico è rappresentato in circa il 25 % da trombosi a carico di grossi vasi, in prevalenza per aterosclerosi a carico delle carotidi, nel 20 % da ostruzione dei piccoli vasi, cosiddetto ictus lacunare, in prevalenza per microateromi, fibroialinosi e trombosi delle arterie perforanti, anche queste dovute in gran parte all’ipertensione, nel 25% a trombo-embolismo, quasi sempre cardio-embolismo da fibrillazione atriale e nei restanti casi da causa incerta (criptogenetico nel 20%) o cause più rare nel 5%. Le cause dell’ictus sono quindi quelle che determinano l’aterosclerosi e i danni vascolari arteriosi: l’ipertensione arteriosa, le alterazioni metaboliche del diabete, le dislipidemie ed il fumo. Ulteriori fattori sono la vita sedentaria, alimentazione ricca di grassi, il consumo di alcool o sostanze, il ridotto introito di calcio ed infine alcune cause genetiche o acquisite di trombofilia o alterazioni flogistiche dei vasi. Appare evidente quindi che la prevenzione si basa sul controllo dei fattori di rischio. Il primo fattore di rischio è l’ipertensione arteriosa che determina gran parte degli ictus emorragici, che sono fra i più gravi ed è uno dei principali fattori per l’ictus ischemico: esso è il fattore determinante per l’ictus lacunare e fattore diretto o indiretto rispettivamente per quelli da aterotrombosi dei grossi vasi e per l’embolico da fibrillazione atriale. Il target terapeutico nell’ipertensione arteriosa è di mantenerla a valori inferiori a 140/90 mmHg in tutti i pazienti e inferiori a 130/80 mm/Hg in quelli ad alto rischio cardiovascolare e nei diabetici. L’insieme di tutti i fattori di rischio citati rende ragione del 90% circa degli ictus. Quindi attività fisica, dieta con pochi grassi e preferibilmente polinsaturi, lotta all’obesità, al consumo di alcool, abolizione del fumo e riduzione della colesterolemia sono i cardini della prevenzione primaria. La terapia farmacologica in questa fase è rappresentata, oltre a quella dell’ipertensione, da quella del diabete e delle dislipidemie. Il target terapeutico per il diabete è di mantenere una Hb glicata entro il 7% soprattutto nei pazienti più giovani o con altri FR cardiovascolari. Il target terapeutico nell’ipercolesterolemia è ottenere un colesterolo LDL inferiore a 100 mg/dl (< 70 mg/dl in pazienti ad alto rischio). Nell’ambito della prevenzione primaria la terapia anti aggregante piastrinica (con acido acetilsalicilico) è indicata solo in pazienti con età inferiore a 65 anni con elevato rischio vascolare. Nei pazienti più anziani o a rischio più basso (< del 10% di eventi l’anno) i benefici vengono annullati dall’incrementato rischio emorragico. L’efficacia dei principali interventi di prevenzione primaria è mostrata nella TAB.2 che riporta una riduzione del rischio relativo di ictus che va dal 21% ottenuto con la riduzione del colesterolo, al 41% con la riduzione di 10 mmHg di pressione arteriosa sistemica fino al 64% con la terapia anticoagulante nella fibrillazione atriale.
La prevenzione secondaria, dopo un TIA o uno stroke ischemico, oltre a tutte le misure prima indicate, si basa sulla terapia farmacologica antitrombotica. Questa è rappresentata dalla terapia antiaggregante piastrinica o da quella anticoagulante a seconda dei meccanismi che hanno determinato l’evento cerebrovascolare. La terapia anticoagulante è indicata nell’ictus di tipo embolico, rappresentato in gran parte dall’ictus cardioembolico in presenza di flutter o fibrillazione atriale, sia essa parossistica, persistente o permanente. La terapia antiaggregante piastrinica è di scelta negli altri casi di ictus ischemico. Una menzione merita il caso di ictus embolico da fonte indeterminata (ESUS). Con questa denominazione si indicano i casi di infarto cerebrale non lacunare e senza stenosi arteriosa prossimale o fonti cardioemboliche identificate. In questi casi, visto il meccanismo più probabile di tipo embolico, è stata ipotizzata una maggiore efficacia della terapia anticoagulante; ebbene gli studi al momento non hanno evidenziato una migliore protezione dalle recidive in questi pazienti se trattati con anticoagulanti rispetto all’aspirina, che quindi rimane l’indicazione di scelta in questo tipo di ictus. In alcuni casi di ictus sono previsti provvedimenti di tipo chirurgico o trattamenti invasivi endovascolari come la endoarteriectomia carotidea per aterosclerosi carotidea o la chiusura con mezzi meccanici impiantatili per via transcutanea, del Forame Ovale Pervio (FOP). Questo può essere responsabile, quando di ampie dimensioni o associato a aneurisma del setto interatriale (ASI), di ictus da embolia paradossa da trombosi venosa profonda. Il trattamento è indicato, previa valutazione interdisciplinare cardiologica e neurologica dopo avere escluso altri possibili meccanismi, come l’ictus lacunare, in soggetti con età inferiore a 60 anni. In altri casi può essere indicata la chiusura dell’auricola atriale sinistra, sede di fenomeni trombotici e fonte di possibile embolia cerebrale, quando è presente fibrillazione atriale e vi è controindicazione alla terapia anticoagulante. La TAB 3 riporta l’efficacia dei principali trattamenti di prevenzione secondaria che mostrano percentuali di riduzione del rischio relativo del 13% per 5 mmHg di riduzione della pressione sistolica, del 19% dell’aspirina e fino al 66% per l’anticoagulazione ed al 87% della chiusura del Forame Ovale Pervio.
FIG. 1
Cause e sottotipi di ictus ischemico secondo la classificazione TOAST 1993 (Trial of Org 10172 in Acute Stroke Treatment) 1. aterosclerosi delle grosse arterie cerebroafferenti 2. cardioembolismo 3. occlusione di piccoli vasi 4. ictus di altra eziologia determinata (cause più rare come dissezioni o arteriti) 5. ictus a eziologia indeterminata (criptogenetico) . per diagnostica incompleta . per diagnostica negativa . per compresenza di 2 o più cause (esempio stenosi carotidea significativa in paziente con fibrillazione atriale) |
TAB. 2 Prevenzione primaria dell’ictus cerebrale
TAB. 3 Prevenzione secondaria dell’ictus cerebrale
Fig. 4 Sintesi dei diversi interventi e terapie farmacologiche per la prevenzione secondaria nei pazienti con TIA o ictus ischemico
CONCLUSIONI
La prevenzione dell’ictus si basa su misure adeguate di controllo dei fattori di rischio, che determinano oltre il 90 % dei casi, e sulla scelta di terapie farmacologiche o chirurgiche specifiche per i diversi sottotipi di ictus cerebrale. Pertanto è importante il riconoscimento dei meccanismi che determinano l’ictus per la scelta della terapia più efficace (Fig. 4). Questa permette di ridurre sia i primi eventi che le purtroppo frequenti recidive.