Andrea Vannucci, professore a contratto di programmazione, organizzazione e gestione delle aziende sanitarie DISM UNISI
“L’intelligenza artificiale è uno dei codici genetici della modernità: è piena di chiarezza ed ambiguità e ha, al suo interno, la mutazione reale degli ultimi 10 anni “(Paolo Bricco – Il Sole 24 ore – 2 luglio 2023)
Siamo tutti impegnati nell’affrontare il quadro epidemiologico generato da una società molto invecchiata. Lo sapevamo da tempo. Per alcuni aspetti ci siamo preparati: quelli medico scientifici; per altri siamo stati meno accorti: quelli assistenziali e sociali, altrimenti detti “politici”. E da una prospettiva prettamente politica non possiamo ignorare che le diseguaglianze tra cittadini stanno crescendo.
È utile distinguere chiaramente tra equità di salute ed equità sanitaria. Equità di salute significa che tutti hanno un’opportunità equa e giusta di raggiungere il loro più alto livello di salute. La salute equa è il risultato di un ampio spettro di fattori individuali e sociali che si sperimentano nel corso della vita.
L’equità sanitaria riguarda invece più strettamente l’esperienza di accesso e interazione con il sistema sanitario e le sue organizzazioni: se i pazienti hanno un accesso equo, ricevono cure eque e hanno esperienze eque. La capacità di avere un impatto sull’equità sanitaria dovrebbe essere comunque in buona parte sotto il controllo e nel potere delle istituzioni: comuni, regioni, stato.
Tenere concettualmente separate le due forme di equità aiuta a comprendere a chi attribuire la responsabilità e quindi l’onere degli interventi di correzione. In particolare, sono due le domande che ci dobbiamo porre:
- dalla prospettiva di chi opera in organizzazioni sanitarie, sapere quali disuguaglianze sanitarie sono sia misurabili sia aggredibili direttamente rende possibile fare scelte di priorità nell’uso delle risorse a disposizione?
- quando alcune disuguaglianze sanitarie sono davvero al di là della sola competenza delle organizzazioni sanitarie, come possiamo, come comunità, garantire che le risorse siano allocate non solo per consentire ai pazienti con maggiori bisogni di gestire la loro salute, ma anche per dotare delle risorse necessarie le organizzazioni sanitarie che si prendono cura di questi pazienti?
Nel mezzo di questo passaggio storico e nella ricerca di nuovi mezzi e strumenti, ha fatto irruzione il progresso delle tecnologie digitali con le loro potenzialità per cambiare sostanzialmente molte modalità di cura e d’intervento.
I progressi dell’assistenza virtuale, specialmente la telemedicina ed il teleconsulto, avanzano se promuovono l’implementazione dell’IA perché un’assistenza virtuale diventa realmente efficiente se disponiamo di strumenti in grado di analizzare i dati, di registrare ciò che il paziente sta dicendo, capirlo e trarne conclusioni. Non per fornire assistenza remota al posto di un medico, ma per supportare il medico nell’assistenza remota.
Le prove di efficacia di applicazioni d’intelligenza artificiale medica sono in costante crescita. Ci sono sempre più tecnologie di IA che, proprio come con i farmaci, vengono convalidate attraverso studi, studi peer-reviewed e studi clinici. Un buon esempio è l’orologio della sepsi, un’applicazione di IA che analizza le cartelle cliniche e aiuta il personale a identificare i pazienti con il più alto rischio di sepsi. Si tratta uno strumento molto utile, ma richiede l’analisi di una quantità incredibile di dati in modo molto complesso.
La rivoluzione ChatGPT ha finalmente permesso a tutti di provare cosa vuol dire lavorare con l’IA. Fino ad ora, l’IA era una tecnologia familiare a pochi: alcuni ricercatori, sviluppatori, innovatori, ma fuori dalla portata della gente comune. Nel campo della ricerca medica e della clinica solo alcuni medici fortunati che stavano lavorando in posti straordinari e alcuni pazienti che hanno ricevuto le cure lì hanno sperimentato i benefici della IA. Questa situazione è cambiata una volta per tutte ed ora centinaia di milioni di persone possono accedervi gratuitamente e conoscere cosa vuol dire lavorare con la tecnologia IA.
Vivendo questi cambiamenti ci stiamo anche chiedendo con gradi di apprensione che variano a seconda delle persone, delle notizie e dei momenti se la sanità digitale e/o l’intelligenza artificiale miglioreranno l’equità sanitaria?
La risposta non è un semplice sì o no, perché occorrerà del tempo ed un intenso lavoro di analisi per capirlo ma sì, la sanità digitale e l’intelligenza artificiale alla fine molto probabilmente miglioreranno l’equità sanitaria anche se durante questo periodo di transizione si potrebbero allargare temporaneamente i divari.
Ciò che è importante capire subito è che non è una questione solo di tecnologia ma molto dipende dalle persone che operano nelle organizzazioni sanitarie, dalle loro competenze e dalle loro qualità, così come da quelle presenti nel contesto sociale ed economico circostante.
In teoria, l’introduzione della tecnologia digitale dovrebbe migliorare l’accesso. Assume e svolge i compiti più ripetitivi, accelera l’accesso per i pazienti rendendo più semplice e veloce per loro ricevere aiuti nel momento in cui sorge un problema. Libera risorse umane impegnate in questi processi, il cui numero è ormai un fattore critico dei sistemi sanitari. Potrebbe aiutare a superare la cosiddetta ’”odissea diagnostica”, quel lungo, spesso arduo, viaggio che le persone con condizioni rare intraprendono prima di incontrare lo specialista giusto. Dobbiamo però fare attenzione perché questi vantaggi sono accessibili solo a coloro che possono accedere alla tecnologia e il divario di equità sanitaria diventa quindi fondamentalmente un divario tecnologico e questo divario tecnologico è di per sé un divario di ricchezza e istruzione. Pertanto, in fin dei conti, ci troviamo di fronte, come sempre, a una questione sociale.
Idealmente, dovremmo tutti vivere in un mondo in cui la salute non è determinata dal dove abiti, da quanto sei ricco e o istruito. La tecnologia – in particolare, la sanità digitale e l’IA– può diventare, se sapremo usarla bene il principale mezzo di questa utopia sanitaria.
Noi, ricercatori e professionisti della sanità, possiamo lavorare diligentemente per migliorare l’equità sanitaria attraverso la tecnologia ma affrontare le lacune di ricchezza e istruzione, prerequisiti critici per un’adozione efficace della tecnologia, è al di fuori del nostro controllo. Per spiegarsi meglio non importa quanto siano avanzate le funzionalità di screening cardiologico sugli ultimi smartwatch, sono inutili se il loro prezzo supera il salario mensile o addirittura annuale di un individuo. I teorici benefici di un allarme tempestivo non diventeranno mai realtà.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità pone questa sfida come un problema di alfabetizzazione sanitaria digitale: “…concentrarsi sugli approcci digitali può inavvertitamente ampliare le disuguaglianze esistenti nella salute se le disuguaglianze note nell’accesso, nell’uso e nell’impegno con la tecnologia digitale non vengono considerate e affrontate”. Interessante è anche la conclusione dell’OMS secondo cui la maggior parte degli studi non tiene conto della natura complessa dell’equità sanitaria digitale e in genere osserva solo una variabile.
La posta in gioco dell’iniquità sanitaria è alta e le implicazioni socioeconomiche sono sostanziali. Secondo un rapporto del World Economic Forum nel 2019, la cattiva salute costa all’economia statunitense circa 3,2 trilioni di dollari all’anno a causa di morti premature e perdita di potenziale produttivo associato alle malattie. Questo rapporto ha stimato che la cattiva salute riduce il PIL globale del 15% ogni anno.
Al momento possiamo affermare che, in teoria, la sanità digitale e l’intelligenza artificiale offrono un potenziale significativo per migliorare l’equità sanitaria, anche se questo va oltre l’essere solo un problema tecnologico. Questi vantaggi potrebbero non essere immediatamente accessibili a tutti, ma nel tempo diventeranno sempre più diffusi, come hanno fatto molte tecnologie rivoluzionarie nel corso dei secoli, dal vapore all’elettricità, dai computer fino ai telefoni cellulari.
Tuttavia, è importante riconoscere una potenziale insidia. Se la motivazione principale dei responsabili politici e di altre parti interessate per una maggiore digitalizzazione dell’assistenza sanitaria sarà quella di ridurre i costi e non riallocare, per volontà o per necessità, le risorse liberate dall’adozione della tecnologia, finiremo in una situazione in cui l’accesso non è migliorato per nessuno. Il risultato? La tecnologia diventa semplicemente uno strumento per ridurre i costi piuttosto che un agente di cambiamento.
In sintesi:
- la salute digitale incrementa l’equità sanitaria, ma solo per coloro che hanno accesso alla tecnologia;
- per sfruttare bene la salute digitale per migliorare l’equità sanitaria, dobbiamo migliorare l’equità digitale, un compito vasto che vale anche per i responsabili politici;
- se, infine, non reindirizziamo le risorse umane e le capacità liberate dalla salute digitale e dall’intelligenza artificiale verso il miglioramento dell’assistenza e scegliamo invece di risparmiare sui costi operativi, il sistema alla fine non vedrà miglioramenti anche se le due condizioni precedenti saranno soddisfatte.