Intervista ad Elisabetta Alti, direttore del Dipartimento di Medicina generale della Ausl Toscana centro e vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Firenze
La Regione sperimenterà in 30 territori toscani progetti di sanità territoriale: una svolta per decongestionare ospedali e pronto soccorso?
Nel decreto ministeriale 77/22, decreto con cui si regolano i modelli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale, viene definita “La Casa della comunità come luogo fisico e di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria, socio-sanitaria a valenza sanitaria e il modello organizzativo dell’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento. Nella Casa della comunità lavorano in modalità integrata e multidisciplinare tutti i professionisti per la progettazione ed erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale”. E’ prevista una Casa della comunità hub e CdC spoke. La Casa di comunità hub viene individuata come struttura di riferimento ogni 40.000-50.000 abitanti, completa nelle sue dotazioni di servizio e punto di riferimento per la programmazione sanitaria, essendo la sede dell’individuazione e dell’analisi dei bisogni sanitari e socioassistenziali della popolazione afferente. Le CdC spoke rappresentano le articolazioni territoriali di prossimità e possono comprendere anche gli studi dei medici di medicina generale che rispondono alle caratteristiche normate dal decreto ministeriale 77. Tutte le aggregazioni dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, ovvero le Aggregazioni funzionali territoriali saranno ricomprese nelle Case della comunità e in essa ne avranno la sede fisica o funzionale, così come le Unità complesse di cure primarie che avranno il compito della presa in carico della popolazione affetta da malattie croniche.
Le CdC, insieme agli Ospedali di Comunità che accolgono i pazienti a bassa complessità clinica che necessitano di assistenza non erogabile a domicilio e le Centrali Operative Territoriali, che coordinano la presa in carico della persona e il raccordo tra servizi e professionisti per assicurare continuità, accessibilità ed integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, rappresentano, a regime, la risposta a livello territoriale dei bisogni espressi dalla popolazione, attraverso il lavoro interprofessionale e multidisciplinare e dove le strutture pubbliche, tipicamente organizzate per silos disciplinari o settoriali, vengono aggregate e ricomposte in funzione dei bisogni della comunità, superando segmentazioni e vincoli.
La gestione dei casi cronici complessi per multimorbosità e l’assistenza multidisciplinare da parte di team multi-professionali e multi-disciplinari, la dotazione di diagnostica di primo livello e l’implementazione della telemedicina, dando una risposta a urgenze gestibili in ambito territoriale, possono contribuire alle azioni di contenimento degli accessi inappropriati al Pronto soccorso.
Stiamo parlando di ospedali e case di comunità, centrali operative territoriali, realizzati con fondi Pnrr, l’investimento sulla sanità territoriale è quello auspicato dallo stesso personale sanitario.
Secondo i dati pubblicati dall’Agenzia regionale di sanità, nel 2023 in Toscana risultava attiva almeno una Casa della salute in 24 delle 28 zone-distretto, ma soltanto 55 delle 115 Aft (Aggregazioni funzionali territoriali) della medicina generale avevano almeno un medico in una Casa di comunità. Le Case della salute attive, e i medici di medicina generale con ambulatorio in Casa della salute, stanno progressivamente aumentando, sebbene la percentuale di medici di medicina generale, con sede di ambulatorio in CdS, sia ancora piuttosto modesta. La sfida che ci aspetta è quella di realizzare quelle condizioni strutturali e organizzative che consentano, oltre ad una presenza fisica di alcuni medici di medicina generale nelle case di comunità, anche un collegamento funzionale di tutti i medici di famiglia con le Cdc in modo da salvaguardare la prossimità e la capillarità dell’assistenza primaria, consentendo a tutti i cittadini di ricevere la risposta appropriata ai bisogni sanitari, sociosanitari e sociali, prevedendo la casa come primo luogo di cura.
E’ chiaro però che oltre alle strutture servono professionisti, perché sarebbe improvvido togliere medici e infermieri da ospedali e pronto soccorso per far funzionare le case di comunità.
La necessità di soddisfare le necessità di personale per permettere alle Case di comunità, Ospedali di comunità e Centrali operative territoriali di funzionare a regime non può essere disgiunta da un investimento sul personale che dovrà popolare queste strutture e sulle attrezzature connesse al buon funzionamento delle stesse. E’ impensabile ipotizzare una programmazione senza tener conto degli operatori sanitari che dovranno realizzare tale riorganizzazione territoriale. La presenza di personale dedicato, formato e coinvolto nella programmazione rappresenta l’elemento essenziale e prioritario per la buona riuscita di tutto il progetto complessivo. In questo, la telemedicina nelle sue varie articolazioni, televisita, teleconsulto, teleassistenza e telemonitoraggio, potrà rappresentare un ausilio efficace per ottimizzare la presenza degli specialisti e dei professionisti coinvolti nell’assistenza territoriale, in particolar modo quella domiciliare, e per la gestione della complessità relativa alla cronicità, alla fragilità e alla disabilità.