Giorgio Banchieri, Segretario Nazionale ASIQUAS
Dalla pandemia se ne esce solo se ne usciamo tutti insieme.
Non sono possibili approcci differenziati tipo ne escono prima i Paesi più sviluppati e poi gli altri a seguire. In un mondo globalizzato le cose non vanno così. Le interdipendenze sono totali.
Per questo motivo The 2022 report of the Lancet Countdown on health and climate change: health at the mercy of fossil fuels sulla gestione degli effetti sulla salute del cambiamento climatico lo ha descritto come la “più grande minaccia per la salute globale del 21° secolo”.
Purtroppo ha sbagliato la previsione dell’orizzonte temporale ipotizzata (entro la fine del secolo) appare già adesso, dopo appena un anno da rivedere. La minaccia è ormai già adesso, a noi come specie animale e l’ecosistema da cui dipendiamo per la nostra sopravvivenza. La scienza prevedeva molte delle manifestazioni estreme del clima per la fine di questo secolo, poi la natura ha registrato una accelerazione dei cambiamenti climatici tali da anticipare quelle che già sembravano previsioni fortemente negative.
Per altro in un Rapporto del Programma Ambientale delle Nazioni Unite si afferma che oggi non esiste “alcun percorso credibile per un successo di contenimento dell’incremento della temperatura entro 1,5° di temperatura”. Questo inevitabilmente contribuirà a accelerare i cambiamenti climatici e le condizioni di sopravvivenza della nostra specie.
Non a caso il nuovo allarme proviene da dove tutto è cominciato. Alludo alla “fabbrica del mondo”, ovvero, alla realtà economico sociale e ambientale rappresentata dalla Cina. In lingua manciù “China” significa “terra” o “regno di mezzo”. Tutto quello che può succedere lì ha un riflesso immediato su tutto il resto del pianeta per le sue dimensioni territoriali, per la sua popolazione, per lo sviluppo economico forzato tramite l’affermazione del così detto “capitalismo sociale di stato”, che la ha portata ad essere in pochi decenni la seconda potenza economica del pianeta, seguita a ruota dall’India.
“Gryphon”, è la sotto variante XBB.1.5 di SARS-COV-2, che in Cina già circola da ottobre 2022 e che, a sua volta, è il risultato di una ricombinazione di altre due sotto varianti di Omicron: BA.2.1 e BA.2.1.
Per il vero sta circolando un vero e proprio sciame di varianti, ma la XBB sta rapidamente sostituendo tutte le altre sotto varianti comuni, come BQ.1 e BQ.1.1. Si è diffusa in tempi strettissimi in altri nove Paesi, sei dei quali europei. Oltre che in Italia, dove già al 27 dicembre costituiva l’1,82% del virus SARS-COV-2 in circolazione, la XBB è stata rilevata anche in Francia (1,22%), Belgio (4,56%), Germania (2,05%), Spagna (2,61%) e Regno Unito (5,44%) come indica “Our World in Data”, facendo riferimento ai dati relativi alle sequenze genetiche del virus depositate nella banca dati internazionale GISAID.
La XBB è già presente anche in Australia (3,33%), Canada (1,93%) e Stati Uniti (13,42%). Sembra essere proprio lei la causa del recente aumento del 140% dei ricoveri a New York avvenuto nell’ultimo mese.
In Cina, le sequenze genetiche depositate nella banca internazionale GISAID, aggiornate al 22 dicembre 2022, indicano che stanno circolando soprattutto le sotto varianti BA.5.2 e BF.7 e che sono solo 81 le sequenze della sotto variante XBB depositate al 9 dicembre. Se sono state depositate solo 81 sequenze della XBB questo indica che in Cina è stata probabilmente bloccata l’azione di sequenziamento delle varianti o non è resa pubblica.
Partendo da queste considerazioni “The Guardian” pubblicava un articolo dal titolo “Cina Covid: gli esperti stimano 9.000 morti al giorno”. L’incipit dell’articolo faceva riferimento a quanto affermato dalla società di dati sulla salute con sede nel Regno Unito “Airfinity”, che ritiene che circa 9.000 persone in Cina stanno morendo probabilmente ogni giorno a causa di Covid, quasi raddoppiando la sua precedente stima rispetto a una settimana fa. Le infezioni da Covid hanno iniziato a diffondersi in tutta la Cina a novembre, aumentando il ritmo questo mese dopo che Pechino ha smantellato le sue politiche “zero-Covid”, compresi i regolari test PCR sulla sua popolazione e la pubblicazione di dati sui casi asintomatici.
I decessi cumulativi in Cina dal 1° dicembre hanno probabilmente raggiunto quota 100.000, con un totale di 18,6 milioni di contagi, ha affermato sempre “Airfinity” giovedì scorso in una dichiarazione.
Per arrivare a questa stima la società ha utilizzato la modellazione basata sui dati delle province cinesi prima che venissero implementate le recenti modifiche ai casi di segnalazione.
Roberto Burloni recentemente su “La Repubblica”, titolato “Covid in Cina: il virus e la propaganda” sostiene che “… oltre ad avere utilizzato un vaccino meno efficace, i cinesi, facendo affidamento sulla loro politica “zero-Covid”, hanno vaccinato poco e male: nei giovani le coperture sono più alte (ma comunque basse) ma l’elemento molto preoccupante è che solo il 40% degli ultraottantenni ha ricevuto la terza dose …”.
Quanto sopra lo porta ad affermare che “… quando la politica prende il sopravvento sulla scienza succedono sempre catastrofi”. Infine “… noi ci siamo vaccinati in massa con il vaccino più efficace disponibile seguendo le indicazioni che ci arrivavano dalla scienza. Loro no. Meglio non imitarli”.
Da quanto sopra ne deriva che:
- le modifiche ambientali e climatiche non sono reversibili nel breve periodo. Anzi, probabilmente, assisteremo ad una ulteriore accelerazione dei processi degenerativi come se la natura in quanto ecosistema cerchi in continuazione nuovi equilibri;
- tutte le patologie connesse a infezioni virali e batteriche saranno inevitabilmente più diffuse e troveranno ambienti facilitanti il loro sviluppo, vedi la diffusione anche in Italia delle infezioni da batteri antibiotico resistenti come causa di morte in pazienti Covid 19, in specie “intubati”;
- patologie come la SARS-COV-2 non sono ancora endemizzate e non è prevedibile a breve una loro eradicazione. Siamo andati e stiamo andando avanti nella ricerca di vaccini (lato prevenzione) e di farmaci (lato cura), anche se sulla cura o sulle cure possibili dobbiamo fare ancora molta strada;
- il mondo è diviso in aree di rischiosità difformi. I Paesi sviluppati sono per ora più coperti, mentre quelli invia di sviluppo o quelli del terzo mondo sono chi più, chi meno a rischio di impatti pandemici, vedi adesso la Cina;
- il tutto si è tradotto in una sindemia globale che impatta e impatterà pesantemente su tutti i Paesi anche se con esiti diversi.
Le considerazioni che al momento possiamo fare sono che:
- innanzitutto è necessario capire la sostenibilità per noi “umani” e per il pianeta con 8 miliardi di abitanti del modello di mercato globale. Nelle Università americane e cinesi si studiano punti di forza e di debolezza dei modelli realizzati nei vari Paesi per trovare, tramite un approccio di verifica e contaminazione culturale e scientifica, come prefigurare nuovi modelli di sviluppo sostenibili per l’ecosistema, per la nostra specie, per le altre specie, per i vai Paesi. Si ritorna a parlare del ruolo dello Stato, del “pubblico” per regolare l’economia e proteggerla dalle sue pulsioni autodistruttive;
- sicuramente abbiamo un problema di compatibilità e sostenibilità economico ambientale che diviene, volenti o nolenti, imprescindibile. Dalla crisi del clima e dell’ambiente con tutto quello che si portano dietro come problematiche di sanità e salute globale si esce solo “tutti insieme”;
- “One-health” vuol dire innanzitutto renderci conto che siamo tutti sulla “stessa barca” e per uscirne dobbiamo decidere tutti insieme da che parte remare. Non è facile, ma la realtà dei fatti e le condizioni di vita che stanno cambiando per tutti vanno inevitabilmente verso una crescita della consapevolezza collettiva della posta in gioco. Le politiche di rinvio potranno protrarsi ancora per poco perché la realtà fattuale ci farà toccare con mano le vere priorità da affrontare, le scelte da afre, i prezzi da pagare;
- affrontare il nodo ambiente, salute, sanità, sviluppo, sostenibilità comporta ripensarci in una logica di comunità e di responsabilità collettiva di “nuovi valori”, di nuove compatibilità e una nuova idea di sviluppo possibile;
- se non si afferma un approccio collettivo, olistico e sistemico e si continua la deriva del tutto e subito, dell’individualismo, dell’edonismo, del consumismo sfrenato il prezzo che dovremo pagare rischia di essere altissimo. Lo stiamo già pagando in giro per il pianeta, in specie i Paesi meno sviluppati e colpiti da siccità e manifestazioni naturali estreme. Incominciamo a pagarlo anche nei cosiddetti Paesi sviluppati, oggi obiettivamente in declino economico e sociale.
Per bibliografia: andrea.gg.vannucci@icloud.com