Intervista a Raffaele Rasoini, medico-chirurgo, specialista in Cardiologia
Si potrebbe usare l’intelligenza artificiale per abbattere le liste di attesa?
Sì, l’intelligenza artificiale potrebbe certamente diventare un’alleata strategica per ridurre le liste di attesa. Uno degli ambiti in cui l’IA potrebbe fare una differenza è l’ottimizzazione della gestione delle risorse sanitarie. Ad esempio, sistemi di intelligenza artificiale possono analizzare grandi quantità di dati, identificando i pattern di utilizzo delle strutture e prevedendo i picchi di domanda. Questo consentirebbe una migliore pianificazione del personale e delle attrezzature. Inoltre, l’automazione nella gestione delle prenotazioni, come il riorientamento dinamico dei pazienti verso le sedi meno affollate e la prioritizzazione dei singoli casi sulla base del livello di urgenza, potrebbero migliorare notevolmente l’efficienza del sistema.
Tuttavia, nell’affidare all’IA parte della gestione delle liste d’attesa, dovremo prevedere e minimizzare anche i rischi di questo tipo di approccio: per esempio, l’algoritmo potrebbe compiere errori nella selezione dei pazienti sulla base della gravità clinica; oppure, se i dati di addestramento dell’IA riflettono pregiudizi pre-esistenti, ad esempio di tipo socio-economico, questi potrebbero essere perpetuati o amplificati da parte del sistema automatico, conducendo verso un’involontaria discriminazione nell’accesso alle cure.
L’uso del digitale potrebbe, davvero, aiutare la medicina territoriale dando alle persone la possibilità di non doversi spostare più di tanto?
Certamente, il digitale può essere un alleato per rafforzare la medicina territoriale e ridurre la necessità di spostamenti da parte delle persone. Questo è particolarmente utile per chi vive in aree rurali o difficilmente raggiungibili, e per le persone con difficoltà negli spostamenti. Grazie a strumenti come la telemedicina e le app per la gestione della salute, i pazienti possono accedere a consulti medici e controlli di routine direttamente da casa. Inoltre, dispositivi di monitoraggio remoto (come i dispositivi indossabili) consentono ai medici di seguire parametri vitali come la pressione arteriosa, il livello di ossigeno o la glicemia in tempo reale, senza che il paziente debba recarsi in ambulatorio. Un altro aspetto importante sarebbe l’impiego di piattaforme digitali per potenziare il coordinamento tra medici di base, specialisti e strutture ospedaliere: sistemi basati sulla IA potrebbero, infatti, analizzare i dati clinici in tempo reale, fornendo supporto decisionale ai medici e segnalando tempestivamente condizioni che richiedono interventi più urgenti. Tuttavia, per massimizzare l’efficacia di queste tecnologie, serve un investimento su larga scala in infrastrutture digitali e bisogna garantire sia un’adeguata formazione di pazienti e operatori sanitari che, soprattutto, un accesso a queste soluzioni da parte di tutti, in particolare da parte delle fasce più deboli. L’innovazione deve essere inclusiva, altrimenti rischia di ampliare le disuguaglianze invece che ridurle.
Alcuni esempi: il fascicolo sanitario digitale non ha ancora una grande diffusione perché il cittadino non lo sente suo. Altro esempio è la difficoltà di parlarsi tra un ospedale e l’altro mentre con whatsapp si parla praticamente con tutto il mondo….
Sono due aspetti importanti, che evidenziano le sfide contemporanee nell’integrazione digitale in sanità. Per quanto riguarda il fascicolo sanitario digitale, è vero: molti cittadini non lo percepiscono come uno strumento utile e personale. D’altra parte, in Italia le fasce di età più avanzate (che accedono più frequentemente alle prestazioni sanitarie) sono anche quelle con meno competenze nell’uso di strumenti digitali. Basti pensare che solo il 20% delle persone al di sopra dei 65 anni utilizza strumenti digitali per accedere ai servizi pubblici, inclusi quelli sanitari. Un maggiore impiego del fascicolo sanitario digitale richiederebbe probabilmente un’interfaccia più semplice, intuitiva, con opzioni vocali e guide video.
Per quanto riguarda la comunicazione tra ospedali, il paragone con whatsapp mette in luce una realtà frustrante. Esistono tecnologie avanzate che permetterebbero uno scambio sicuro e immediato di informazioni cliniche tra strutture, ma spesso la mancanza di interoperabilità tra i sistemi informatici e le regolamentazioni sulla privacy creano barriere. Superare questa frammentazione è cruciale. Non si tratta di scegliere tra sicurezza e semplicità, ma di trovare soluzioni che bilancino entrambe le esigenze, come piattaforme interoperabili e standard comuni per la gestione dei dati sanitari. In definitiva, credo che l’IA possa diventare una risorsa per i sistemi sanitari nella misura in cui la si considera come uno strumento da sottoporre a verifica attraverso studi di confronto, in maniera analoga a quanto si dovrebbe fare con l’IA applicata ai dispositivi terapeutici o diagnostici.