Intervista a Andrea Vannucci, docente di Programmazione, Organizzazione e Gestione delle aziende sanitarie Dism dell’Università di Siena
Secondo l’Istat, salgono a 4,5 milioni i cittadini che hanno rinunciato a curarsi per liste d’attesa eccessive o problemi economici. Come invertire questa tendenza?
Sembra che nel 2023 il 7,6% della popolazione abbia dovuto rinunciare alle cure mediche per problemi economici, per lunghi tempi d’attesa o difficoltà di accesso. Questo per un sistema sanitario universalistico è un fallimento. Quando nei media e nel dibattito pubblico si parla di tempi di attesa, spesso non si specifica se il discorso riguarda le prestazioni ambulatoriali o i ricoveri ospedalieri. Cause e soluzioni sono molto differenti.
Le tre cause principali sono: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche, e il sottofinanziamento del sistema sanitario che limita la possibilità di investire in nuovo personale e nuove tecnologie.
Il governo ha stabilito d’intervenire sulle liste d’attesa secondo tre linee: raccogliere informazioni per avere un quadro più coerente tra esperienze dei cittadini e dati statistici forniti dalle regioni; rafforzare i Centri Unici di Prenotazione e la disponibilità delle agende delle prestazioni; incrementare la produttività del personale sanitario, allentando gli attuali limiti di spesa per nuove assunzioni e dando incentivi al personale in servizio. Gli intenti possono anche essere buoni ma, poi, le disponibilità finanziarie rimangono, per i noti motivi, modeste ed il successo dell’iniziativa è dubbio. Al momento abbiamo un problema non da poco: non disponiamo di dati nazionali certi e quindi non sappiamo valutare con precisione l’entità del fenomeno. Un recente progetto sperimentale di monitoraggio dei tempi di attesa dell’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) ha avuto un modesto risultato. Vi hanno aderito solo 13 Regioni sulle 21 invitate. Di queste solo 6: Emilia-Romagna, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Marche, PA di Trento, Piemonte, Toscana hanno inviato i dati totali completi, mentre Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Sardegna, Umbria e Veneto hanno trasmesso dati parziali riferiti a una o alcune Asl.
Il Governo è convinto che misureremo meglio lo stato reale del fenomeno grazie ad un ruolo più incisivo di Agenas, ma se la fragilità del flusso dei dati regionali rimarrà la speranza di ottenere un risultato concreto si allontanerà. Un fattore chiave per raggiungere questo obiettivo sarà aver saputo ben utilizzare l’assegnazione di fondi prevista per la missione 6 del Pnrr, che prevede una forte innovazione digitale della sanità e che comprende il sistema di raccolta, organizzazione e valutazione dei dati di attività.
Sulle liste d’attesa pesa anche la carenza del personale sanitario……
La carenza di personale sanitario è uno dei determinanti più significativi nell’allungamento delle liste d’attesa. Meno medici, infermieri e altri operatori sanitari significa una minore capacità di effettuare visite, esami e interventi chirurgici. Il personale esistente si trova a dover gestire un numero maggiore di pazienti, e rischia di risentirne non solo i tempi d’attesa ma anche la qualità delle prestazioni. Il sovraccarico di lavoro può portare a errori, comporta ritardi e ed è causa di inefficienza.
Motivazione, clima di lavoro e benessere del personale sanitario influenzano la qualità delle cure e hanno conseguenze sulla salute dei cittadini quando, come in questa fase, sono insoddisfacenti. Un clima lavorativo sfavorevole può spingere gli operatori sanitari a cercare occupazione in altri contesti, aggravando ulteriormente la carenza di personale.
Sono necessarie una serie di misure a lungo termine, volte ad aumentare l’attrattività delle professioni sanitarie, a migliorare le condizioni di lavoro del personale e a ottimizzare l’organizzazione dei servizi.
Non è detto che l’intervento sul personale sanitario riuscirà. La crisi è grave, complessa e destinata a durare. Non è solo questione di numeri ma anche di motivazione. Per insipienza, ignavia e superficialità di tutte le parti, anche dei professionisti, assistiamo ad un deterioramento delle condizioni di lavoro che mina una storica affezione all’impiego nelle strutture pubbliche. C’è scetticismo sulla possibilità che si trovi una soluzione che, in realtà, ci sarebbe se lavoriamo da subito ad un’innovazione “partecipata” del sistema sanitario e delle sue aziende, senza la quale immettere nuove risorse sarà solo aggiungere altri sprechi.
Come garantire un più facile accesso alle cure?
Prima di tutto è necessario adottare una serie di misure e strategie che tengano conto delle diverse realtà territoriali e delle esigenze specifiche dei pazienti. Servono sistemi unici di prenotazione online o telefonica e metodi efficienti per garantire la priorità per i casi urgenti. Al momento, le differenze tra regioni sono enormi. Sarà indispensabile il potenziamento dell’assistenza primaria con i medici di famiglia, privilegiandone il potenziale professionale, favorendone l’aggregazione in equipe e dotandoli di strumenti che liberino il loro tempo da attività di rendicontazione di dubbio valore. E poi, dopo tanto parlarne è l’ora di fare davvero l’integrazione tra servizi sanitari e socialiper offrire risposte più complete alle le persone anziane, disabili e con malattie croniche.
L’innovazione tecnologica sarà determinante: telemedicina e applicazioni mobili, supportate da intelligenza artificiale, che consentono ai pazienti di prenotare visite, consultare i propri esami e comunicare con i medici in modo più semplice e immediato.
Ci sono luoghi e modalità d’assistenza da potenziare: le case della salute, che offrono una vasta gamma di servizi sanitari e sociali, facilitando l’accesso alle cure per i cittadini; gli hospice, le cure palliative e un’assistenza domiciliare per le persone alla fine della loro vita e le loro famiglie; i centri di salute mentale e i programmi di medicina di prossimità. Tutti fattori che permettono di assistere meglio ed evitare ricoveri ospedalieri non necessari.
E si scopre che sono le famiglie a pagare la crisi della sanità visto che la spesa dei cittadini per la salute è salita del 10% nel giro di un anno….
Il sistema sanitario può mitigare le diseguaglianze e le disparità tra i cittadini ma non chiediamogli ciò che ad altri spetta, ossia alle politiche per la tenuta del sistema di welfare e alle decisioni in merito di chi governa e governerà il Paese. In queste settimane si è sentito parlare di un tesoretto che potrebbe aiutare la prossima manovra finanziaria per un inaspettato aumento del gettito fiscale, ma il tesoro grosso sarebbe un significativo recupero dell’evasione. Finanziare adeguatamente la sanità, così come l’istruzione, non è solo questione tecnica, ma anche sociale e politica, così come lo è operare per un sistema di welfare efficace e sostenibile. La questione è della massima importanza perché ha a che vedere con la percezione di avere uno Stato con servizi all’altezza del compito, di essere cittadini e contribuenti di una società civile, dignitosa e solidale.