Andrea Vannucci, professore a contratto di programmazione, organizzazione e gestione delle aziende sanitarie DISM UNISI
La motivazione dei medici e degli infermieri che lavorano nelle strutture pubbliche è ai minimi storici e il malessere così diffuso e profondo che pensare di andare avanti in queste condizioni è impossibile.
Il 2024 sarà un anno molto difficile per l’economia italiana perché verrà meno il 110 per cento e gli interventi finanziati dal – non saranno ancora pienamente operativi. Senza dimenticare le incertezze sul tasso di inflazione e sulla sostenibilità della nostra finanza pubblica.
Davanti a questo scenario, la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) ha rivisto le previsioni di aprile per il 2024. Il disavanzo tendenziale è passato dal 3,5 al 3,6 per cento. La manovra è passata dallo 0,2 allo 0,7 per cento del PIL. Il disavanzo programmatico è stato aumentato dal 3,7 al 4,3 per cento. Dopo la manovra il PIL viene previsto all’1,2 per cento ma differenti osservatori indipendenti prevedono meno fino a Prometeia che nel suo rapporto di previsione del 29 settembre stima che non possa essere superiore allo 0,4 per cento.
Nella NADEF la spesa sanitaria è prevista in diminuzione: da 134,7 miliardi nel 2023 a 132,9 nel 2024. La sanità pubblica è in grave crisi: tempi di attesa sempre più lunghi, fuga dei medici verso il privato, carenza di infermieri. Per riportare la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil al livello del 2022 (6,7 per cento) servirebbero nel 2024 oltre 10 miliardi in più.
Per la Regione Toscana è stata stimata come conseguenza il venir meno di 113 milioni e quindi l’aumentata probabilità che il bilancio regionale vada in default e che i servizi si riducano.
Nel frattempo, la revisione del PNRR minaccia un taglio di oltre un quarto sia delle case che degli ospedali di comunità. È una scelta politica precisa di disinvestimento. La Toscana, nonostante le incertezze del momento, ha deciso di prendersi il rischio di andare avanti con il proprio programma che prevede la cantierizzazione delle opere previste. Restano comunque irrisolti gli interrogativi in merito alla capacità operativa delle future case e ospedali di comunità, soprattutto per la disponibilità di un numero di sanitari sufficiente per il loro funzionamento. Questa indisponibilità potrebbe essere in parte relativa, vedi la propensione o meno di alcune categorie, come ad esempio il numero di MMG ad operare all’interno delle case di comunità oppure assoluta come, ad esempio, l’effettiva mancanza del numero adeguato di infermieri.
Cosa dice il tendenziale sulla spesa sanitaria? Conferma quello che si sapeva già da tempo: la spesa sanitaria, in percentuale del Pil, mostra un trend decrescente dopo il picco toccato durante la pandemia. La novità è che la riduzione si consuma anche in termini nominali: tra il 2023 e il 2024, la spesa è prevista in calo da 134,7 miliardi a 132,9, quasi 2 miliardi in meno. La spesa poi rimbalza, crescendo di quasi 4 miliardi nel 2025 e di altri 2 nel 2026. In termini di % sul PIL si passa così dal 7.4% del 2020 al 6.1 del 2026. Un’entità di spesa fra le più basse dei paesi OCSE. L’opinione condivisa e diffusa da una molteplicità di osservatori, politici e tecnici, è che per il SSN non potrà che aggravarsi la crisi che già sta affrontando. Il progetto di riforma costituzionale della cosiddetta Autonomia differenziata unita alle gestioni regionali e ai tagli (o come si dice adesso “definanziamento”) prospettano una privatizzazione neanche tanto occulta.
Non sappiamo realmente se questa decisione di allocare meno risorse venga presa perché il governo stima che non si possa effettivamente spendere di più o perché non voglia farlo per destinarle ad altre partite considerate più importanti sul piano del consenso o come leve di sviluppo economico.
C’è però un fatto che balza agli occhi, ma di cui pochi hanno voglia di parlare, e cioè come riformare il sistema sanitario nazionale. Perché è ormai chiaro che si tratta di una scadenza necessaria. È su questo tema che si dovrebbe chiedere al governo che intenzioni ha.
La questione vera
Concentriamoci dunque sulla domanda che da anni attende una risposta: come vogliamo riformare il SSN? La necessità di una riforma è stata un’opinione quasi unanime dopo la pandemia e da questa nuova consapevolezza è nata la decisione d’intervenire sulla sanità territoriale con il DM 77 e anche con alcune destinazioni dei fondi PNRR. Ora però bisognerebbe pungolare governo e regioni per conoscere se e come il piano di costruire una sanità territoriale centrata sulle case e gli ospedali di comunità è confermato. E soprattutto conoscere come s’intende risolvere un problema per il quale non si vede al momento soluzione: Quali figure professionali e con quali modalità contrattuali popoleranno queste strutture? Per risolvere il problema della carenza di personale sanitario servono soluzioni pragmatiche. Occorre ripensare i rapporti interprofessionali e bisogna investire sull’attrattività delle professioni sanitarie, quella infermieristica in particolare.
Medici e infermieri nel Sistema sanitario
Nel 2021 il personale dipendente del SSN (Asl, compreso il personale degli Istituti di ricovero a gestione diretta, Aziende ospedaliere, Aziende ospedaliere universitarie integrate con il Ssn e Aziende ospedaliere integrate con l’Università) ammonta a 617.246 unità di cui 69,1% donne e 30,9% uomini. Rispetto al 2020 il personale risulta diminuito di 220 unità (-0,03%). Le unità di personale con profilo infermieristico costituiscono il 59,2% del totale del ruolo sanitario, i medici e gli odontoiatri il 22,9% mentre il 17,9% è rappresentato da altre figure professionali sanitarie, quali altro personale laureato; dirigenti delle professioni sanitarie; personale tecnico – sanitario; personale con funzioni riabilitative; personale di vigilanza-ispezione (dati al 31.12.2021 – fonte Ministero della Salute).
Dai dati dell’OCSE, i più affidabili e con le serie storiche più lunghe, si osserva che l’Italia ha un numero di medici per mille abitanti che è più alto di quello di Olanda, Slovenia, Belgio e Francia. Più medici che in Italia si trovano soltanto in Grecia, Norvegia, Svizzera e Islanda. La Grecia non ha ancora oggi il numero chiuso a medicina. Norvegia e Islanda sono paesi molto ricchi e con una densità abitativa bassissima, la Svizzera ha un sistema sanitario dominato dalle assicurazioni private. Qui l’ipotesi più probabile è che vi sia sovra-produzione di servizi sanitari con conseguente eccesso di domanda di medici.
Un problema vero per l’Italia è l’elevata età media dei medici con il rischio, anzi la certezza, che avremo una congiuntura difficile, frutto di errate politiche di programmazione.
La soluzione esiste ed è un temporaneo innalzamento del numero degli studenti di medicina, ben calibrato grazie ad una buona analisi della futura domanda nelle diverse specialità. Attenzione però perché potremmo nuovamente sbagliare: nel 2021-2022 sono state bandite 14.378 borse di specializzazione, senza segnali di riduzione nel prossimo futuro. Già nel 2020 e nel 2021 il numero di medici che il sistema ha formato è stato maggiore di quello degli infermieri e la previsione al 2037, mantenendo questi ritmi, ci indica che potremmo avere un surplus di circa 37 mila medici. Nel frattempo gli infermieri continueranno a mancare ed è questo il nostro più grave problema. In particolare perché il SSN sarà sempre più impegnato sul fronte dell’assistenza territoriale, per dare risposta ai bisogni di una quota crescente di popolazione affetta da patologie croniche. Sul territorio, dunque, dovrebbero concentrarsi nuovi investimenti, come previsti dal DM 77 (il decreto ministeriale che ri-organizza i servizi sanitari territoriali), ma anche “nuovo” personale, assunto o re-indirizzato da altri servizi. E il personale necessario sarà in prevalenza quello delle professioni sanitarie, specialmente a quella infermieristica, e al momento non ce lo abbiamo e anche in futuro non è detto che ce lo avremo.
Il rapporto tra medici ed infermieri nel SSN è rimasto pressoché stabile nell’ultimo decennio e vede nel 2020 la presenza di 255 infermieri ogni 100 medici. È evidente la necessità di formare un numero maggiore di infermieri rispetto al passato. Osservando come nell’anno accademico 2022-2023 i posti a bando per Medicina e Chirurgia sono stati 14.470, contro i 17.997 della professione infermieristica ci rendiamo conto come il rapporto numerico è destinato addirittura a peggiorare con conseguenze che saranno gravi. Il rapporto tra posti messi a bando per infermieri e per medici è passato da 1,85 nel 2009-2010 a 1,31 nel 2022-2023.
C’è poi una considerazione ulteriore: mentre per i medici siamo ormai vicini al raggiungimento del plateau demografico ed abbiamo la certezza che potremo correggere la carenza entro i prossimi 5-7 anni, per la professione infermieristica ci troveremo ad affrontare un turnover molto ampio e protratto e sarà il caso di muoversi per tempo per non ripetere l’errore fatto con i medici perché l’impatto sui servizi potrebbe essere ancora più pesante.
Cosa fare
Per risolvere il problema della carenza di personale sanitario servono soluzioni pragmatiche, volontà e un po’ di coraggio. Ripetiamo che occorre mutare i rapporti interprofessionali e rendere attrattive le professioni sanitarie, quella infermieristica in particolare.
Da subito possiamo e dobbiamo rivoluzionare i rapporti interprofessionali, migliorando le dinamiche di lavoro in team e estendendo i compiti e le responsabilità della professione infermieristica insieme anche, però, ad un pronto e adeguato riconoscimento formale ed economico. Nel medio e lungo periodo dobbiamo investire sull’attrattività. Ci sono molti esempi in merito, con evidenza di successo, che possiamo utilmente copiare da altri paesi ed anche da alcune realtà in Italia (ne abbiamo già scritto su questa rivista). Questo passaggio potrà avvenire solo se ci sarà volontà e coraggio nel mondo della professione e in quello sindacale e politico, predisposizione all’innovazione ed apertura mentale.
La motivazione dei medici e degli infermieri che lavorano nelle strutture pubbliche è ai minimi storici e il malessere così diffuso e profondo che pensare di andare avanti in queste condizioni è impossibile. I professionisti sanitari non pretendono subito la soluzione ma una prospettiva credibile, precisa e decisa sì. Insieme, da subito, al rispetto ed alla considerazione adeguata del loro ruolo e del loro lavoro. Lasciar permanere la sfiducia è un danno che può rivelarsi irreparabile, travolgere coloro che hanno ruoli di responsabilità nella gestione e nelle scelte politiche della sanità e generare danni gravi ai cittadini e avere conseguenze negative sullo sviluppo economico e civile del Paese.